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#LACULTURANONSIFERMA #COVID-19/FASE-2 DALLA PARTE DELLE COMUNITÀ': CHI SI STA PRENDENDO CURA DEL PATRIMONIO IM-MATERIALE? RIFLESSIONI A MARGINE, AL DI LA' DEI SOGNI. Di Alessandra Broccolini con illustrazioni grafiche di Aino Garcia Vainio

#LACULTURANONSIFERMA #COVID-19/FASE-2 DALLA PARTE DELLE COMUNITÀ': CHI SI STA PRENDENDO CURA DEL PATRIMONIO IM-MATERIALE? RIFLESSIONI A MARGINE, AL DI LA' DEI SOGNI. Di Alessandra Broccolini con illustrazioni grafiche di Aino Garcia Vainio

IMG-20200418-WA0006E' notizia di qualche giorno fa. E per definire quello che il governo sta pianificando per la Fase 2 di uscita dall'emergenza sono stati scomodati i sogni. Dream Team, così è stata chiamata la "task force" (sempre la lingua inglese per le grandi occasioni), la squadra di mega-esperti che Vittorio Colao sta già guidando per indicare al governo le migliori strade per tornare alla normalità. Già, la normalità, quella che per alcuni già "prima" era un problema. 17 componenti, tutti esperti nel loro settore. Ma chi sono questi esperti ? Nella lista abbiamo diversi economisti e top manager, che occupano un terzo del gruppo, un fisico, uno specialista di lavoro, un avvocato, un commercialista, un esperto di disabilità, un sociologo (economico), una psicologa e uno psichiatra. Pochissime le donne (vabbè, si dirà, non sottilizziamo). Molti componenti di questa squadra -la maggioranzasono rappresentanti dei settori "forti" della società, di quelli che contano. Tutte persone con grandi curriculum alle spalle, che certamente faranno bene per il bene di tutti. Non è ovviamente questa la sede per entrare nel merito di questioni che vanno oltre delle semplici riflessioni domenicali.

IMG-20200418-WA0007Ciò che tuttavia, più sorprende è la totale assenza dai "sogni" delle cosiddette humanities, che sono forse proprio quelle discipline più attente ai sogni della gente, che più guardano alla "condizione" umana vista nella sua globalità. Perché al di là degli aspetti materiali, che sono sacrosanti, è evidente che questa pandemia sta intaccando pesantemente proprio quella qualità della vita, quei sogni, quelle aspettative di futuro già parecchio in difficoltà e in bilico prima, ma che ora con le restrizioni alla libertà personale, la paura, lo stress, il distanziamento sociale, la caccia alle streghe, la criminalizzazione del nulla, rischiano di naufragare. Certo, si dirà che quando c'è la salute c'è tutto; oppure che quando le tasche sono piene (un proverbio popolare dice che "quello che non strozza ingrassa") tout va bien se passer. E che è quindi qui che si deve più agire. Poi c'è la resilienza, ci sono gli effetti sorprendenti della solidarietà, ci sono quelle risorse sociali nascoste che riaffiorano, le creatività "culturali", la capacità di resistere. Sarebbe troppo facile in questa sede lamentare la totale assenza dell'antropologia da questi sogni da "task force"; l'antropologia, che come dice la stessa etimologia, alla condizione umana guarda da sempre con attenzione, che le relazioni umane le studia nelle loro diversità storicamente fondate, tra singolarità e comunità, tra agire pratico e memoria, creatività e identità. D'accordo, non è questo il luogo.

IMG-20200418-WA0008Tuttavia, per la vocazione che abbiamo, in verità sempre poco riconosciuta dai più, è nostro dovere fare sentire la nostra voce iniziando proprio con una piccola riflessione che parte da qualcosa che proprio ai "più" potrà sembrare sconosciuto, se non poco rilevante, ma che invece riguarda molto da vicino proprio quel sognare che tanto sta a cuore in questo momento al governo, parliamo del cosiddetto patrimonio culturale immateriale. Qual è quindi il nesso di tutto ciò con il titolo che ho voluto dare a questa riflessione ? Con il patrimonio culturale immateriale ? Qualche giorno fa l'UNESCO, l'Organizzazione delle Nazioni 2 Unite nata più di 70 anni fa per promuovere pace e dialogo tra le nazioni attraverso la cultura, ha pubblicato un comunicato stampa nel quale pone -a dire il vero un po' troppo sinteticamente- la questione degli effetti della crisi su piani diversi da quelli riportati giornalmente nei media, sottolineando che "we are also seeing the ways in which the impact of this crisis goes beyond our physical health"*. Non sono le singole humanities a dirlo per rivendicare chissà quale posto al sole, è un organismo globale come l'UNESCO. Entrando nel merito il comunicato prosegue ancora sottolineando come "Festivals and cultural events are being cancelled or postponed, and cultural practices and rituals are being restricted, causing disruptions in the lives of many people". "Disruption", che significa "spaccatura". Quindi la cancellazione di pratiche festive, rituali, collettive, espressive, può essere fonte di una "distruzione", di rottura negli equilibri vitali della gente e delle collettività. Quindi forse le humanities non sono così inutili. "At the same time - prosegue il comunicato- we are seeing how living heritage can be a source of resilience in such difficult circumstances, as people continue to draw inspiration, joy and solidarity from practising their living heritage". La pandemia, come sappiamo, ha reso necessarie misure di distanziamento sociale che sono misure di distanziamento esclusivamente fisiche.

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Per la strada si deve camminare disaggregati, tutti, anche mogli e mariti, padri e figli (che in casa mangiano e dormono vicini); il metro e mezzo di distanza è diventata una nostra ossessione; tutte le forme di vita sociale fondate in uno spazio fisico sono rimandate a data da destinarsi, anche una semplice passeggiata in solitaria (?). Che sia giusto o meno, ciò vuol dire che anche e soprattutto gli eventi collettivi, quelle occasioni speciali, rituali, calendariali nelle quali le persone si calano "dentro" la vita sociale "fisicamente" (e non solo tramite i social che semmai ne rappresentano una estensione non un sostituto), quegli eventi in cui si partecipa con il corpo, tutto questo è sospeso per ragioni di salute pubblica. Eventi che sono spesso quelle forme di espressioni collettive che collochiamo nella sfera del patrimonio culturale immateriale, esperienze collettive, religiose e non religiose, che esprimono valori, vicinanza, senso di appartenenza, creatività, memoria, affettività, partecipazione, come anche interessi di vario tipo e conflitti. La stessa UNESCO con l'adozione della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale del 2003 aveva inteso veicolare in questa definizione una concezione diversa dell'heritage, intesa non più come prodotto di un'elite, nelle sue espressioni materiali e monumentali, ma come parte della vita sociale e culturale delle comunità umane, paesi, villaggi, piccoli gruppi, in tutte le forme ed espressioni, anche quelle più marginali. Nel paradigma patrimoniale è stato usato il termine "living heritage" e di certo non è questo il luogo per entrare in dibattiti e definizioni "di scuola". Ma sta di fatto che ciò che il patrimonio immateriale definisce (nel bene e nel male) è ciò che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui, definiscono come parte importante delle loro pratiche di vita, ciò a cui le comunità danno valore e che danno senso all'esistenza. Già prima dell'emergenza sanitaria molte dimensioni collettive del vivere sociale e culturale erano state sottoposte a vincoli e restrizioni di vario genere, via via sempre più pressanti. Prima era stato il fuoco nelle feste a fare paura, che ha portato a regolamentarne l'uso (vedi la regolamentazione dei fantocci e dei falò rituali, alcuni dei quali sono scomparsi dalle pratiche anche per questo motivo). Poi era stato l'imprevedibile comportamento della folla e i suoi rischi, o il rischio incidenti di vario tipo (allora sono state introdotte transenne e sono state aumentate le distanze) e si è 3 compiuta la trasformazione dei rituali in spettacoli disciplinati. Ora è la volta della dimensione sanitaria. Questo ingresso della dimensione "sanitaria" nelle pratiche sociali e culturali ci riguarda molto da vicino e su questo si dovrà riflettere. Certo, si dirà che è l'emergenza ad aver provocato la cancellazione di tutte le feste ed i rituali dal mese di marzo a chissà quando ed è giusto così. Ma in che modo la sicurezza sanitaria, divenuta oggi un imperativo globale, si rifletterà nelle pratiche del futuro ? Quanto e in che profondità le mascherine e il metro e oltre di distanza entreranno strutturalmente anche in questi ambiti della "prossimità" e della condivisione rituale e quali pratiche di "resistenza" verranno messe in atto ? Ce li vedete i "passanti" della Madonna del Monte, festa sulle rive del lago di Bolsena nel Lazio, cantare "Evviva Maria" tutti insieme con le mascherine ? Di esempi come questi se ne possono fare a migliaia. In diverse città e paesi già pochi giorni fa accendere i falò per S. Giuseppe è stato dichiarato un atto "da delinquenti" (vedi nota 1). Ma il fuoco una volta non era purificatore ? Ciò che dico è chiaramente una provocazione, ma vuole esprimere un problema di fondo molto serio, soprattutto un disagio e uno scenario di cambiamento.

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L'Unesco parla nel comunicato di "resilienza", resilienza come una capacità del patrimonio immateriale a continuare a vivere continuando a far vivere le comunità, anche nel dramma della pandemia. E indirettamente accenna ad un fenomeno assolutamente nuovo che stiamo vivendo e che abbiamo ad esempio vissuto pochissimi giorni fa, quando abbiamo visto i riti della Settimana Santa, in tutto il mondo cristiano trasformarsi in riti social: processioni in solitaria delle sfere ecclesiastiche e "partecipazione" virtuale di cittadini che hanno partecipato in solitudine, senza conoscersi e vedersi; trasformazioni di "living rituals" in riti della memoria "a distanza", tramite condivisione di immagini. Riti della solitudine social, si potrebbe dire, un ossimoro al quale eravamo già abituati dopo anni di esperienze a distanza, ma che ora va intaccando anche la partecipazione ad uno dei pochissimi ambiti della vita sociale non mercificati che si era conservato nello spazio pubblico, nel quale il coinvolgimento dei sensi, l'esperienza del "corpo" nel rituale (il sudare, il guardarsi negli occhi, il ballare, il cantare, il camminare insieme) erano centrali. Sicuramente si tratta di un fenomeno nuovo e per noi interessante, già anticipato da molti anni di feste in diretta streaming e di partecipazione a distanza grazie alle nuove tecnologie. Ma in che misura -mi domando- al di là della disruption attuale che stanno vivendo molte comunità e alla quale queste stanno rispondendo con resilienza e speranza- in che misura tutto questo non lascerà delle tracce profonde nelle forme della partecipazione sociale e comunitaria, che costituiva la "carne e il sangue" del patrimonio immateriale? Conosco alcuni paesi e città dove si sta vivendo come un vero e proprio "dramma sociale" il rischio di vedere cancellata la "loro" festa. Ma soprattutto, al di là dell'emergenza, siamo sicuri che la paura del contatto fisico, che in questi giorni ci viene comunicata in forme e modi spesso confusi e contraddittori, non lascerà delle tracce profonde nella vita di relazione, al di là dei facili entusiasmi per le tecnologie a distanza ? Nello stesso comunicato, al quale di certo ne seguiranno altri, con nuove iniziative, il sito UNESCO invita le comunità a condividere esperienze di salvaguardia durante la pandemia e incoraggia queste a condividerle, a scambiarle per poter dare spunto ad altre comunità a fare altrettanto. Il comunicato UNESCO parte in pratica dal bicchiere mezzo pieno e cioè dalla possibilità di guardare alla pandemia come una occasione per poter sperimentare delle pratiche nuove di salvaguardia del patrimonio immateriale e per guardare ad esso come una risorsa cui attingere, in forme e modi diversi, anche in un'epoca di distanziamento sociale e di paura. Quindi una finalità pedagogica del patrimonio se vogliamo. Una prospettiva nobile, che è inscritta nella mission dell'UNESCO fin dalla su fondazione. Tuttavia -bicchiere mezzo vuoto, anzi completamente vuototutto questo non è sufficiente e cela una dimensione nascosta che è nostro dovere far emergere, sulla quale occorrerà vigilare in futuro. Le pratiche espressive che vediamo spesso rappresentate da feste e rituali, non solo sono a volte fragili, basandosi proprio sui legami tra le persone (a volte poche persone), sulla loro vicinanza, che è anche fisica, fatta di sguardi, di famiglie coinvolte, di intenti comuni, di serate passate a realizzare un carro votivo, o a preparare insieme un piatto, o fare una questua per finanziare la festa. Ma anche quando possono contare su apparati più istituzionalizzati di finanziamenti o di organizzazione, si sostanziano proprio di azioni volontarie che fondano il senso stesso della partecipazione.

Che ne sarà dunque della partecipazione dei cittadini al patrimonio quando questa, anche quando le disposizioni governative saranno ammorbidite, continuerà ad essere vista come un assembramento pericoloso per la salute?

 

 

note:

1. Per esempio a Taranto: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1212789/coronavirus-taranto-accendere-i-fuochi-di-s-giuseppe-e-da-delinquenti.html

Oppure a Bari: http://www.baritoday.it/cronaca/coronavirus-sporcaccioni-rifiuti-decaro.html

O ancora sulle "vampe" per S. Giuseppe a Palermo: https://palermo.repubblica.it/cronaca/2020/03/18/news/il_virus_non_ferma_le_vampe_sette_falo_spenti_a_palermo-251639837/

 

* https://ich.unesco.org/en/news/living-heritage-experiences-in-the-context-of-the-covid-19- pandemic-13261

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