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San Michele Arcangelo a Sala Consilina. Foto: Archivi Fotografici, A. Arpea (1888, 1930, 1970, 2007, 2008, 2009) - A.Tortorella (1914), Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia San Michele Arcangelo a Sala Consilina. Foto: Archivi Fotografici, A. Arpea (1888, 1930, 1970, 2007, 2008, 2009) - A.Tortorella (1914), Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

San Michele Arcangelo a Sala Consilina

8 MAGGIO - 17 MAGGIO - 28 29 30 SETTEMBRE

La festa

3 maggio: la Cruci

A Sala Consilina (Salerno), fino a quando non è stata asfaltata la via che conduce al Santuario era necessario, nei giorni precedenti la processione dell'8 maggio, recarsi a ripulire le curve dal terriccio, per prepararne il percorso. Operazione che era annunciata, all'imbrunire del giorno precedente, da un uomo che andava per le vie di Sala ad annunziare, sonando una campana, la fatica del giorno dopo. La mattina successiva gli uomini si riunivano in processione, preceduti dalla Croce coi simboli della Passione e si avviavano al Santuario al suono delle zampogne. Al Calvario, ai piedi della montagna, cominciavano la pulizia, mentre gli zampognari li rallegravano e li esortavano con inni a San Michele e tarantelle, e un uomo, a turno, reggeva la Croce. A metà del monte si fermavano a coltivare un lembo di terra rotondo: primo riferimento al carattere agrario che le festività michaeliche rivestono nel territorio. Sempre lavorando si giungeva alla cappella montana, dove il sacerdote celebrava la messa; quindi si faceva colazione, e verso le tre del pomeriggio si cominciava a scendere. Lungo la strada venivano raccolti rami di pino o di abete: la processione degli abeti, la dendroforía, fu forse il prestito d'una tradizione documentata invece a Padula da tempi remotissimi.

A metà della discesa andavano loro incontro devoti col biroccio che distribuivano abbondantemente da bere ai lavoratori. In processione, con la Croce e le zampogne, gridando Ebbíva la Cruci, arrivavano all'Annunziata, mentre la campana della chiesa sonava a lluóngu e la gente si faceva intorno per accoglierli. In chiesa il sacerdote benediceva gli uomini e gli alberi col Sacramento; in quale momento gli uomini battevano li mmazzi sul pavimento di pietra, poi esclamavano a gran voce Ebbíva Sandu Michèli, Sandu Michèli ebbíva e andavano via, dopo aver cantato inni al santo. Questo avvenne fin quando fu rifatta la pavimentazione dell'Annunziata. Ma sulla soppressione della cerimonia agì anche un certo «integralismo» conseguente all'applicazione eccessivamente zelante d'un frainteso spirito del Concilio; cosicché nei nostri paesi furono bollate come conseguenza di «paganesimo» e «superstizione» molte delle manifestazioni più autentiche della religiosità popolare.

8 maggio: San Michele ri maggiu

Si porta il simulacro al Santuario montano, dove rimarrà per i cinque mesi estivi. Questa, come tante feste religiose dell'area calabrolucana, è soggetta alla doppia cadenza celebrativa, all'inizio della buona stagione e all'inizio dell'inverno, comune ai culti misterici che commemoravano la morte e la risurrezione del dio o dea, ritualizzazione del ciclo produttivo dell'anno.

La processione parte dalla chiesa della Santissima Annunziata dopo la celebrazione della messa e giunta a una «cappellina» dov'è conservata una piccola statua del Santo, alla periferia meridionale del paese, sosta per consentire di adornare la statua grande degli ex voto, un ricco corredo di gioielli d'oro sette e ottocenteschi, e della bilancia d'oro, attributo, insieme con la spada, dell'Arcangelo. Poi il corteo inizia la salita al Monte, preceduto da una o più donne che reca in capo lu cindu, costruzione votiva di candele a forma di torre o di barca e da una macchina processionale che rappresenta un'imbarcazione, un «gózzo» tipico delle coste cilentane, portata a spalla per mezzo di due stanghe, ma che da questo momento sarà caricata su un autocarro, al cui albero è appoggiato un ragazzo sui dieci anni che indossa un costume «come San Michele», l'Àngilu.

Lungo il percorso si ferma alla cappella della Madonna di Costantinopoli e poi, piú solennemente, a quella della Madonna di Loreto dove l'Angelo recita tre invocazioni rituali al Santo insieme con l'offerta dell'incenso, sostituito nei momenti meno rilevanti dallo spadino dell'Angelo «il ferro», dei fiori e di un cero. Dopo l'ultima sosta, la banda che ha accompagnato la processione esegue l'ultimo inno e, mentre la statua preceduta solo dal «cinto» continua il cammino, gran parte della gente si ritira. Al Calvario si tiene la predica. Infine, giunti al Santuario, si consuma lo spuntino dei giorni di festa, che ognuno ha portato da casa e in cui non manca il dolce rituale salese di pasta lievitata, li cavàti fritti, al quale seguivano un tempo, oggi molto meno, le tarantelle al suono d'organetti o di zampogne. Il pomeriggio e la sera la gente che non ha potuto seguire tutto il percorso processionale si reca a «visitare» San Michele.

17 maggio: lu cindu

Il 29 aprile era cominciata la novena in onore di San Michele nella chiesa dell'Annunziata, come preparazione alla festa dell'8 maggio. Un tempo si recitavano, in ognuno dei nove giorni, preghiere diverse mentre attualmente la novena è ridotta alla semplice recita della preghiera finale con l'Oremus, dopo la celebrazione liturgica. La mattina del 9, di buon'ora, comincia invece la novena al Santuario, che ha termine il giorno 17. Il medesimo giorno alle nove, un tempo alle sette, parte dall'Annunziata la processione col «cinto» a torre, portato in capo da una donna e preceduto dalla Croce coi segni della Passione, tra i canti dei fedeli al suono della zampogna. Giunti al Calvario un tempo si recitava la Litania dei Santi, oggi invece sul Monte, dopo che il «cinto» è entrato in chiesa, si celebra un'altra messa dopo la quale anticamente si pronunciava l'«offerta» a San Michele. Al termine della messa, il «cinto» esce dalla chiesa e compie tre giri intorno a lu cappillínu, il nucleo piú antico del Santuario, aprendo una porta che solitamente rimane chiusa, la porta ri Màrsicu.

Al terzo giro si toglie dal «cinto» lu cirínu, un lungo spago intriso con la cera donata l'anno precedente, avvolto a matassa e poggiato davanti alla base della costruzione votiva, e lo si dispone intorno al «cappellino», sotto la grondaia in ganci di ferro battuto predisposti a tal fine, in triplice voluta. Originariamente veniva rimosso per chiedere la pioggia, riavvolto per «legare» le inclemenze meteoriche. Il vecchio «cerino» è tagliato in pezzi e distribuito tra i fedeli che se ne serviranno per tener lontane li mmali timbèsti. Sempre con l'accompagnamento del canto, la processione rientra in chiesa e si ripone il «cinto».

4 luglio: l'Apparizione

È la commemorazione dell'apparizione di San Michele sulla montagna della Balzata, la Vauzàta, nel 1213, secondo la leggenda popolare, ad un pastorello che comunicò la cosa ai compaesani increduli; secondo la versione piú diffusa, invece, fu lo stesso pastore a non credere al Santo. Per punizione verso la mancata obbedienza alla richiesta di San Michele di una chiesa sul luogo della sua manifestazione, i Salesi furono costretti a costruirla recando sulla montagna le pietre legate al collo, sul punto in cui fu rinvenuta l'immagine del Santo che ancora si conserva. All'interno della chiesa sono ancora conservate alcune pietre tagliate a blocco parallelepipedo con gancio metallico alla sommità, ex voto della pratica di ascendere al Santuario con quel fardello in collo.

Un tempo vigeva l'obbligo per ogni salese, o almeno un rappresentate di ogni famiglia, di recarsi in questa ricorrenza a far visita al Protettore sul Monte.

28, 29 e 30 settembre: San Michele ri sittiémbri

Nove giorni prima è iniziata la novena al Santuario alle sei del mattino. Tradizionalmente si svolgeva con questo orario per consentire poi di dedicarsi ai lavori della terra e al governo degli animali della stalla. Chi può vi si reca a piedi, qualcuno canta.

La sera del 28 si porta in processione la Barca con «l'Angelo», preceduta da una fiaccolata formata dai ragazzi del quartiere di Sant'Eustachio che inneggiano a San Michele, da un sonatore di organetto o di zampogna e da un trofeo di uva, pampini, foglie d'edera e altre primizie della terra " lu jardínu ri Sandu Michèli", altro chiaro riferimento al carattere ctònio del culto. Il percorso del corteo attraversa il paese partendo da qui e segue il giro inverso rispetto a quello che farà la processione del giorno successivo. Sosta davanti a ogni immagine di San Michele che incontra lungo il tragitto e l'Angelo recita le tre invocazioni rituali e offre simbolicamente i fiori, l'incenso o il «ferro» e il cero.

Sul sagrato della chiesa dell'Annunziata, dopo le invocazioni e l'offerta, la «Barca», che gli uomini recano a spalla, è presa a braccia e, tra gli incitamenti della folla le vengono fatte fare tre veloci oscillazioni avanti e indietro, forse a imitazione del movimento del mare, come spiegano i partecipanti al rito. In questo rituale è tuttavia da vedere un tentativo simbolico di sfondamento delle porte della chiesa che rimangono fermamente chiuse, in quanto alla processione non partecipa il clero locale, forse per antichi contrasti avendo la cerimonia vari riferimenti «pagani». E' pertanto solo 'laica', cioè voluta e condotta secondo il più autentico spirito popolare, legato alla tradizione. Presso la chiesa di Sant'Eustachio un tempo si «saliva» il palo della cuccagna, lu pàlïu, e si bruciavano il «Vecchio» e la «Vecchia», che rimandano al «sacrificio dello spirito del grano», due fantocci di carta colorata a cui erano uniti petardi, ulteriore connotato agricolo della festa. Per terminare la serata ci si reca, con un numero di partecipanti che s'assottiglia nel tempo, al Santuario, dove i devoti rimarranno per tutta la notte, tra preghiere e canti in onore del Santo, evocanti le sue prerogative e impetranti la sua «assistenza». Il mattino successivo la statua del Santo viene portata in paese, preceduta dai cindi e da ceri votivi, dai membri della Confraternita, col vessillo e lo stendardo, vestiti di cotta bianca lunga, mozzetta gialla, cappuccio bianco sulle spalle, fascia traversa verde, foderata di rosso e con lo stemma e il motto di San Michele ricamati pure in rosso, e medaglione in lamina sbalzata. Il priore reca il bastone sormontato dalle lettere SMA in ottone. Giunti davanti all'edicola di «San Michelicchio» all'ingresso del paese, l'immagine sacra viene rivestita di tutti gli ex voto d'oro. Seguono le invocazioni dell'Angelo, e la processione, a cui s'è aggregata la banda, si riavvia, con l'Angelo in testa al corteo, percorrendo la parte alta del paese. Ci si ferma davanti alla casa di chiunque debba fare un'offerta o sciogliere un voto: la statua è posata per la sosta su un tavolo addobbato con le tovaglie migliori, l'offerta un tempo era fissata con gli spilli a un nastro sospeso alla statua, ora riposta in un cassettino trasparente ai suoi piedi.

Nel cuore della Cívita verso Sant'Eustachio è stato preparato un primo jardínu o uórtu ri Sandu Michèli: un'impalcatura a due piani appoggiata al muro d'una casa e coperta di rami d'edera e di vite, fiori di campo e di montagna, uva e ortaggi. Quando la statua vi giunge, viene offerto al Santo, calandolo con una corda passante per una carrucola sospesa in alto sulla via, un grande grappolo, mentre altra uva è distribuita fra tutti i presenti. Altri «giardini» sono allestiti alle due estremità dello spiazzo adiacente alla chiesa di Sant'Eustachio, dove si svolgerà il «volo dell'Angelo», sacra rappresentazione legata non soltanto alle feste michaeliche, molto diffusa nel Cilento e presente in Basilicata, Campania e Molise. Lungo una robusta fune, tesa tra il balcone d'un'abitazione posta a un capo della piazza e un palo fissato all'altro di fianco alla chiesa, un fanciullo è fatto muovere, «volare» per tre volte, a circa otto metri dal suolo, sino al simulacro di San Michele. Ed ogni volta egli rivolge al Santo le solite invocazioni e presenta le rituali offerte, dopo essere stato calato dinanzi a Lui per mezzo d'una fune secondaria che scorre nella carrucola, in dialetto locale detta taròcciula, che muove l'Angelo. Alla fine sono offerti ancora una volta i frutti della terra al Protettore.

La processione continua sino alla Piazza principale, dove verso mezzogiorno e mezzo è celebrata all'aperto la solenne liturgia eucaristica con la presenza del Vescovo della Diocesi. Si assiste quindi ai fuochi d'artificio, li spari, che annunziano l'entrata di San Michele nella chiesa dell'Annunziata. Il giorno 30 il simulacro è talvolta portato processionalmente, in forma meno rituale e solenne con l'ausilio di autoveicoli, anche nelle campagne per la benedizione delle attività agricole, chiara innovazione sopravvenuta dopo il secondo Conflitto mondiale.

16 dicembre: San Michele ri lu Tirramòtu

Questa commemorazione riporta con singolare evidenza l'originaria connessione dell'Arcangelo con le forze irruenti del sottosuolo. Un tempo in questo giorno a sera si portava la statua del Santo attraverso le vie del paese in ricordo della sua protezione in occasione del terremoto del 16 dicembre 1857, che scosse l'intera Lucania, causando morti e distruzioni nei paesi circonvicini. Dopo il sisma del 23 novembre del 1980 è stata ripristinata l'antica devozione di celebrare una messa al Santuario la prima domenica d'ogni mese.

Testo: A.Tortorella (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione

Storia del culto di San Michele

La figura di San Michele sin dall'inizio della diffusione del suo culto appare indissolubilmente connessa con spelonche e vertici montani. I tratti peculiari di San Michele provengono dall'Oriente in particolare dalla Frigia, dove San Michele era stato assimilato al giovane Attis, l'antico nume delle acque e dei misteri naturali, figlio di Cibele, la Grande Madre Terra. Anche Bisanzio è coinvolta a causa dei numerosissimi santuari sul Bòsforo votati al Santo e attribuiti all'età costantiniana.

L'aspetto piú schiettamente naturale ne fece il Protettore delle forze incontrollabili del suolo, come i terremoti, e dell'aria, come le pesti e i fulmini, e lo pose in un rapporto di contrasto e assimilazione col serpente, antico attributo di Attis e simbolo cristiano del Male da Lui sconfitto, facendo sí che le cavità sotterranee, naturale rifugio dei rettili, gli venissero dedicate in gran numero in tutto il mondo mediterraneo medievale di cultura greca, e fosse accostato pure agli eremiti, abitatori degli antri, che si affidavano al suo patrocinio e ne divulgavano la venerazione.

La seconda caratteristica michaelica, che lo vede Guerriero nell'iconografia e nei suoi interventi sulla terra, venne al Santo dall'essere stato posto a capo delle Milizie celesti e dall'essere ripetutamente apparso nelle narrazioni bibliche in vesti marziali - si ricordino alcune delle sue tradizionali manifestazioni come quella sul mausoleo d'Adriano a Roma in occasione dell'epidemia del 590.

Nel Gargano, che per lungo tempo era stato il centro religioso piú importante della parte occidentale dell'Impero bizantino, di cui aveva assorbito ogni spinta culturale e ogni manifestazione di pietà, San Michele fu agevolmente accolto anche in tale veste, e i Longobardi, che occuparono la regione àpula, che da esse venne chiamata Longobardía, compresero subioto che le virtù dell'Arcangelo si confacevano al carattere bellicoso della propria gente e ne avrebbero potuto rappresentare l'emblema nazionale, come se San michele fosse l'ipòstasi cristiana del dio Wotan.

Pertanto si configurarono in relazione con le diverse etníe le due modalità del culto: gli Orientali preferirono le prerogative ctònie, venerandolo negli antri, in contrapposizione alle cappelle erette dai Longobardi sulle alture e all'aspetto guerresco che questo popolo credeva di cogliere nello Spirito celeste.

Così avvenne probabilmente pure a Sala, dove la cavità di Sant'Angelo doveva aver subíto l'influsso dell'antichissimo luogo sacro della vicina Padula, le Grottélle, il quale era sorto forse già sotto il grande Costantino.

A Sala, prima che sulla montagna, San Michele fu onorato nella grotta ai confini con Padula, presso i villaggi medievali di Sant'Angelo e San Damiano. La spelonca col sovrapposto romitorio fu dipendenza del monastero cistercense di San Bernardo di Padula. La leggenda salese vuole la grotta di Sant'Angelo tuttora abitata da un enorme serpente, che si nasconderebbe nelle viscere più riposte del monte e, di quando in quando, si mostrerebbe per spaventare e tener lontani i visitatori, assalendo altresì le bestie che vi cerchino ricovero.

Alla temporanea presenza germanica nel territorio salese si può invece assegnare, intorno al VII secolo, la fondazione sul colle della Balzata ai piedi del monte Schiavo, di un singolare tempietto, impiantato sopra una finta caverna in rozza muratura a guisa di corridoio che chiudeva un lungo riparo sotto roccia, con volta a botte ribassata, la quale s'è conservata sino al presente nelle forme originarie, eretta in ricordo della dell'apparizione dell'Arcangelo al Monte di Puglia, simbolo di tutta la «rivelazione» michaelica nell'Occidente.

Gli ampliamenti settecenteschi conferirono al complesso monumentale l'aspetto che si può osservare al presente, col caratteristico colore rosso pompeiano, datogli affinché si possa scorgere con immediatezza dal paese. In essa è custodita l'immagine del Santo, probabilmente della fine del '500: essa è attraversata da una fenditura verticale per tutta la lunghezza, che la leggenda popolare dice causata dall'assunzione sopra sé stesso, da parte di San Michele, dei castighi divini destinati ai Salesi.

In concomitanza con l'allontanamento da Sala del presidio longobardo, il culto di San Michele perse importanza e soltanto uno sparuto corteo rimaneva a ricordare gli antichi pellegrinaggi dell'otto di maggio alla cappella montana e le solenni cerimonie un tempo offerte a San Michele.

Per veder risorgere la pia attenzione dei Salesi verso il Santo bisogna attendere il XVIII secolo, quando attraverso un falso, sedicente copia d'una memoria seicentesca della leggenda dell'apparizione e delle essudazioni della sacra immagine del Santo avvenute il 4 luglio del 1213, il culto tornò in auge.

Così a partire dal '700 la rinata devozione fu di giorno in giorno crescente, al punto che San Michele sostituì San Biagio, designato Protettore meno d'un secolo addietro. Si moltiplicarono le ricorrenze commemorative, a quella del 4 luglio nella cadenza dell'«apparizione», fu aggiunta quella del 29 settembre, desunta dal calendario romano, quelle del 3 maggio, giorno della Croce, e del 17 successivo, a compimento della novena celebrata al Monte.

L'intervento dell'Arcangelo in occasione del teremoto del 16 dicembre del 1857, infine, spinse i Salesi a ripristinare accanto alle doti di divino Guerriero, anche i remoti attributi di accompagnatore e giudice delle anime, di alfiere del Bene contro il Male e di protettore dei campi.

La devozione popolare salese dedicò al santo le simbologie ed i rituali piú disparati, come l'ormai perduta dendroforía (processione con gli alberi, particolare dei riti di Attis), la barca, e il «volo» dell'Angelo.


Foto: Archivi Fotografici, A. Arpea (1888, 1930, 1970, 2007, 2008, 2009) - A.Tortorella (1914)
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