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Madonna delle Galline, 1970. Foto: A. Rossi, 1970, Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia Madonna delle Galline, 1970. Foto: A. Rossi, 1970, Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

Madonna del Carmine detta delle Galline a Pagani

Madonna delle Galline - venerdi sabato domenica e lunedi in albis

Pagani

Pagani (Salerno) è una cittadina dell'agro nocerino-sarnese, sviluppatasi lungo l'antica strada consolare che da Napoli conduceva a Salerno e alle Calabrie. La sua origine va ricercata nell'ambito territoriale e storico della più antica e famosa Nuceria, centro che raccoglie chiare vestigia a partire dagli Etruschi fino all'Unità d'Italia e che testimonia una notevole vivacità civile e religiosa, con i suoi palazzi maestosi, i suoi conventi e le sue chiese.

Nel XVIII secolo assunse la denominazione di 'Nuceria Paganorum' per la supremazia dei Cavalieri PAGANO che ottennero il territorio in feudo. La popolazione era costituita da contadini impegnati a coltivare le terre dei vari feudatari o dei molti signorotti. Nei secoli la popolazione che aumentava divenne più solidale. Le case furono costruite a modo di corte, ove divenne una consuetudine l'agire insieme. Pagani preserva ancora dei cortili dove la comunità residente verosimilmente ripete antichi comportamenti quotidiani. Forse nel Medioevo la comunità di Pagani si costruì una piccola chiesa, sufficiente a raccogliere i fedeli esistenti sul territorio. Quella prima chiesetta, forse anteriore al XIV secolo, fu intitolata Annunziatella. Nel XVII secolo, come testimonia un bassorilievo della Madonna del Carmelo sul quale è riportata la data "1621", fu eretta la chiesa di S. Maria del Carmine. La cappella fu chiamata comunemente Spogliaturo, uno spazio riservato ai confratelli che si cambiavano d'abito per il rito funebre e per tutte le processioni alle quali partecipavano come Opere Pie.

La Chiesa divenne nel tempo sempre più solenne ed accogliente e fu dotata di un soffitto a cassettoni, restaurato nel 1856 per l'iperbolica cifra di 2652 ducati. L'ultimo atto di solenne riconoscimento religioso si è prodotto nel 1954 quando la Chiesa è stata elevata a Santuario Mariano.

Il ritrovamento miracoloso

La leggenda narra di una frotta di galline raspanti che riportò alla luce una Tavola con il volto della Vergine. Il ritrovamento fu immediatamente interpretato come manifestazione divina e ne seguì la decisione di creare un appropriato luogo di culto, che si sarebbe evoluto successivamente nell'attuale chiesa santuario. La tavola, probabilmente portata da monaci sfuggiti dall'Oriente nell'VIII-IX secolo per sottrarre le sacre immagini alla distruzione iconoclasta, poi, si sarebbe rovinata ed avrebbe determinato l'incarico ad un artista di riprodurre la tela seicentesca, ufficialmente accolta con un segno miracoloso e venerata oramai da quattro secoli.

La festa delle galline

La festa si svolge intorno alla Domenica in Albis perchè la tradizione ha fissato in quei giorni l'evento miracoloso del rinvenimento. La processione si snoda lungo tutto il paese, fino alle masserie circostanti. Il riferimento assoluto è la statua della Vergine portata trionfalmente in processione: è una presenza che si fa itinerante, che accoglie tutte le lacrime e le afflizioni, ma principalmente è una presenza generosa nel dispensare intercessioni e favori.

Il gesto del popolo, il dono delle galline, è ricco di valori: simboleggia l'affidamento del proprio mondo al sovraterreno, è un tentativo di sublimazione dell'umano nel divino. Siano colombe o tacchini, pavoni o gallinelle, è un mondo non estraneo all'uomo, è la popolazione di un'aia o di una masseria dove la vitalità è multiforme. All'offerta delle galline si acompagna quella di dolci o di torte rustiche che costituivano un tempo il cibo ricco dei contadini, i "tortani", una pasta lavorata da mani esperte, infarcita di salame - prodotto con la carne dei maiali cresciuti nell'aia o nei cortili - in forma circolare, dominata dalle onnipresenti uova.

Ecco alcuni dei doni offerti alla Vergine delle galline, che passa a rassegna le strade, i vicoli, i cortili e le masserie di Pagani con il suo bel codazzo di gallinacei che godono dell'ammirazione di tutti standosene appollaiati sul capo, sulle braccia, ai piedi della Vergine, noncuranti del vocio, della musica e dei botti, che appesantiscono l'aria.

Lungo il percorso della processione i devoti impegnano la loro fantasia a creare i "Tosel", angoli votivi impreziositi da coperte di raso e da merletti che incastonano stampe dell'immagine della Madonna delle galline. Nei cortili, dove il maggior spazio permette la realizzazione di un "Tosel" più vistoso, trovano posto anche la statuetta della Vergine e stampi di gallinacei in terracotta, figure votive di sapore arcaico.

La caratteristica più importante che avvolge l'intera festa è la "tammurriata", una forsennata musica popolare che scoppia il Venerdì in albis, accompagna la popolazione per l'intera giornata della Domenica e si conclude all'alba del lunedì successivo, quando il popolo dei danzatori va a deporre ai piedi della Madonna le "Tammorre" impazzite durante la festa. La "tammorra" è un tamburello che sprigiona suoni determinati dall'impatto della palma della mano e dalle dita. Il ritmo della "tammurriata" è determinato anche da un secondo strumento, strettamente in sintonia con la tammorra. Si tratta delle "castagnette", nacchere nostrane, due coppie di legno fissate al medio delle due mani producono un suono netto, squillante che accompagna quello più cupo, assordante della tammorra.

La "tammurriata" determina l'inizio delle celebrazioni, accompagna il popolo in festa durante l'intera domenica e raccoglie i danzatori oltre la festa fino a suggellarla definitivamente. Passata la processione della Vergine delle galline, si creano i "cerchi" dove i "tammurriatori", una o più coppie e la gente presente danno vita liberamente alla "tammurriata". La "tammurriata" è una musica che sprigiona il bisogno di libertà, è libertà. È la celebrazione dell'entusiasmo liberato, della felicità agognata che, sebbene momentanea, è vissuta con intensità atemporale. È l'esplosione della vitalità, il raggiungimento di una condizione di libertà radicale che riscopre la propria natura compressa da regole e da limitazioni sociali.

Teologicamente, anche attraverso i segni materialmente prescelti degli animali e delle uova, si proclama l'evento della Resurrezione come conclusione di un ciclo che si chiude. La festa non poteva celebrarsi in un periodo più consono.

Testo: G. Mancini (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: V. Contino, 1970
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: A. Rossi, 1970
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: E. Silvestrini
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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