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Carro agricolo. Sardegna, inizi xx Carro agricolo. Sardegna, inizi xx

Trasporto a trazione

Varie sono le modalità con cui il trasporto a trazione è operato dall'uomo, dagli animali, mediante veicoli muniti o privi di ruote. Il trascinamento è il tipo di trasporto più antico per carichi che l'uomo non è in grado di portare: un telone di fieno o un carico di legna può essere trascinato semplicemente mediante una corda, ma ci si può avvalere di attrezzi specifici come tregge e slitte.
Si definiscono convenzionalmente tregge gli attrezzi che lavorano obliquamente rispetto al terreno e slitte gli attrezzi con trascinamento aderente al terreno. La slitta era usata abitualmente dai contadini in montagna e in pianura, su terreni innevati o ghiacciati e su terreni paludosi e fangosi. Poteva essere trainata a mano, ed è il caso dell'esemplare valdostano qui esposto che veniva guidato tenendo con le mani le estremità ricurva dei pattini, oppure poteva essere tirata da un animale asino o mulo, come la slitta di Malcesine, in provincia di Verona, munita di timone a due stanghe alle quali l'animale veniva attaccato. La slitta di Malcesine viene mostrata insieme ai finimenti (imbraca e collare) dell'animale che la trainava.

Di particolare interesse, tra gli attrezzi a trascinamento esposti, è la marinara pugliese: collegata al giogo o la pettorale di un animale, tramite una catena o fune passante per i fori della barra inferiore, essa veniva tenuta dal contadino in posizione verticale, aderente al terreno, in modo tale da raccogliere la paglia tagliata e da trasportarla, al tempo stesso, in un determinato punto del campo. Vi sono inoltre alcuni veicoli con ruote condotti a mano: una carriola, usata per percorsi brevi, un piccolo carretto, che costituiva probabilmente anche un'unità di misura per i sacchi di farina, un carretto a due ruote con timone a due stanghe.

I veicoli su ruote a trazione animale sono introdotti da una serie di gioghi che documentano il sistema di collegamento tra l'animale e il carro per il traino. Sono esposti i gioghi per bovini da nuca e da corna, singoli o doppi, gioghi per equini. Con modalità che variavano da zona a zona, venivano collegati tra loro le parti centrali del giogo e il timone del veicolo. Sono inoltre esposte una serie di ferma coperte da buoi.

Il giogo, spesso recante figurazioni incise o dipinte e le iniziali della famiglia proprietaria, era oggetto ritenuto sacro: simboleggiava l'unione coniugale, la prosperità famigliare e, sebbene vecchio e inutilizzabile, non doveva essere bruciato, ma seppellito. Chi avesse bruciato un giogo, sarebbe stato punito con un'agonia lenta e dolorosa.

Nella sala è collocato un carro sardo a forcella e con due ruote fisse all'asse e timone centrale per i due buoi. Il carro a forcella trainato da una coppia di buoi con il piano di carico triangolare è il più semplice dal punto di vista costruttivo, all'inizio del Novecento permaneva solo in Sardegna e in Calabria, ma in epoca precedente costitutiva il carro agricolo tradizionale in tutta l'area italiana.

La tipologia di carro agricolo più diffusa in Italia all'inizio del secolo è invece rappresentata da due massicci carri da buoi, l'uno toscano, dotato anche della forca di sostegno per le briglie, e l'altro emiliano, a due ruote con timone, muniti di cassone con sportello posteriore mobile.

Il primo presenta decorazioni in metallo e motivi intagliati nel legno, l'altro romagnolo interamente dipinto. Dal punto di vista strutturale, questo tipo di carro, diffuso nelle regioni dell'Italia settentrionale, è costituito dal telaio (i due carrelli, anteriore e posteriore) e dal piano di carico che li collega. Si notino, nel piano di carico la tavola centrale che, rimossa, consentiva il trasporto delle grandi botti, e, al di sotto del piano di carico, nella parte posteriore, l'albero di legno orizzontale in cui veniva serrata e bloccata la corda che legava il carico. I due massicci carri esposti erano carri costosi, che alcuni contadini acquistavano, a costo di indebitarsi, per poter ottenere più facilmente la gestione a mezzadria di un terreno. Entrambi gli esemplari recano dipinte o scolpite figure sacre, come quella della Madonna e San Giorgio, con evidente valore protettivo contro il rischio di incidenti; riportano inoltre iscrizioni che attestano i nomi del carradore e del decoratore, artigiani tra i pochi che in ambito popolare "firmavano" la propria opera.

In determinate occasioni come fiere, processioni, feste patronali e nozze, gli stessi carri comunemente usati per i lavori agricoli, venivano adibiti ad altre funzioni come il trasporto delle persone, del corredo nuziale della sposa. I buoi venivano allora ornati con frontali in tessuto o in metallo inciso, con ghirlande di lana per la fronte e le corna, predomina in questi ornamenti il colore rosso, che nella tradizione popolare ha funzione magico-protettiva.

Sono inoltre documentati i carri usati nelle attività di scambio. Il carro caratteristico dei carrettieri per il trasporto di merci su strada era quello a due ruote con timone a due stanghe, trainato da equini: alle stanghe del timone venivano agganciate le due catene collegate al pettorale dell'animale, le due punte del timone venivano ancorate lateralmente sopra la sella.

A questa tipologia di carri possono essere ricondotti gli esemplari esposti: un carretto a vino di area romana con cui veniva trasportato il vino dai centri dei Castelli Romani alle osterie della città, e due carri siciliani, uno proveniente dal palermitano, l'altro catanese che potevano appartenere a carrettieri come pure a contadini benestanti.

 

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