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Fuienti, 1960. Foto: A. Rossi, 1960, Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia Fuienti, 1960. Foto: A. Rossi, 1960, Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia

LUNEDI IN ALBIS

I devoti

Il Santuario della Madonna dell'Arco si trova a Santa Anastasia (Napoli). I devoti che vi giungono sono pellegrini vestiti di bianco, tutti si distinguono per una fascia azzurra che scende dalla spalla sinistra e si annoda sul fianco destro, ove s'incontra con il nodo della fascia rossa che avvolge la vita. La fascia azzurra presenta l'immagine della Madonna a mezzo busto, ma ricamata e sfavillante è quella dei dirigenti, come se volessero imitare le differenze gerarchiche vigenti nelle Corporazioni e negli Ordini. Si distinguono, questi devoti, per la Bandiera o Labaro o Stendardo, che definisce e comunica a tutti l'appartenenza. La faccia principale, ad un solo colore di fondo tra l'azzurro, il turchese e il bianco, ma anche il rosso, mostra un ricamo con l'immagine e l'epigrafe «Associazione Maria SS. Dell'Arco». Nella faccia posteriore si rinvengono i dati propri dell'Associazione, l'indirizzo e la data di fondazione o dell'esecuzione della bandiera esibita, per cui non è raro, oggi, doversi disbrigare in un affollato assieparsi di stendardi, moltiplicatisi irragionevolmente secondo un carattere personalistico imposto al gruppo e individuato nella segmentazione del quartiere d'origine. Fin'oggi, invece, l'aggregazione era esclusivamente associativa e il controllo religioso mirava ad una canonica partecipazione di principi e di manifestazioni. Le Associazioni riconosciute sono oltre 350, suddivise prevalentemente nelle cinque diocesi di Nola, Acerra, Pozzuoli, Aversa e Napoli. Poche associazioni conservano ancora il «Pennone», che ricorda un passato di fede e di speranza e indica la strada della religiosità comunitaria e solidale.

Come si chiamano questi devoti che hanno celebrato i quattrocento anni di vita? Li chiamano vattienti, coloro che battono ritmicamente i piedi in modo da essere sempre in movimento anche se non si spostano dalla loro posizione. Nel loro comportamento c'è una componente di cultura contadina. Tutti, però, li conoscono come i fuienti, coloro che non si abbandonano alla rassegnazione e corrono incontro alla speranza. Un voto fatto in stato di necessità li porta a percorrere a piedi i chilometri che separano la loro casa dal santuario. Possono essere pochi se si abita nella parte orientale di Napoli, ma tanti, anche più decine, se il pellegrinaggio s'inizia a Pozzuoli. Alternano tratti di strada correndo ed altri camminando, senza mai fermarsi.

Si va a Madonna dell'Arco come membro di un'associazione o solo per esaudire un voto fatto. Allora, si susseguono gruppi sparsi, per lo più famiglie intere, che non ripetono riti codificati. Il loro è il pellegrinaggio originario. Sono questi i casi più toccanti, sprizzano stanchezza da tutti i pori, con i piedi sanguinanti ed un bambino cavalcioni sulle spalle del padre o tra le braccia della madre se lattante. Situazioni di disagio indicibile. Sono quelli che arriveranno solo finchè le forze li reggeranno, renderanno omaggio alla Madonna per dire un grazie e lasceranno l'ex voto di un anonimo che ha goduto momenti di felicità. Più spesso, però, quel cruento pellegrinaggio si concluderà in una lacrimevole preghiera, ultima àncora che precede la disperazione. Se ti capita di assistere ad uno svenimento, non ti rifugi in disquisizioni dotte, ti chiedi come mai quegli esseri fragili siano riusciti a varcare la soglia del santuario senza subire molto prima uno shock nervoso.

Le associazioni

Indubbiamente, quello che s'impone anche alla vista e che viene ricercato come complesso rituale da una piccola folla di paesani lungo il cammino programmato, è il fenomeno associativo. Ogni gruppo è costituito essenzialmente da un numero imprecisato di persone: bambini-bambine, donne e uomini. Il numero complessivo determina la distinzione delle fasce di età. I dirigenti occupano gli ultimi posti del corteo, facendo bella mostra dei ricami. Il segno distintivo dell'Associazione è lo Stendardo, a cominciare dal primo, ostentato con orgoglio perchè più decorato e più antico. Qualche vecchia Associazione sfoggia pure il pennone, la lunga bandiera triangolare ricca di sei-otto cordoni colorati con fiocchi, retti da altrettante ragazze. Si va diffondendo la presenza di labari sorretti da bambini e ragazzi, con un carattere fortemente familiare. Molti gruppi realizzano in cartapesta una immagine della Madonna dell'Arco, qualcuno addirittura un carro votivo oppure un baldacchino, chiamato in gergo 'o tusell. Nei decenni scorsi, in verità, erano più numerosi e molto belli. Una calorosa approvazione del popolo si manifestava al loro passaggio. Presso l'edicola della propria sede, s'inizia il lungo pellegrinaggio con una sequenza teatrante e coreografica che nel tempo ha accentuato elementi protettivi riconducibili a rapporti sociali più che divini, come sembravano nei decenni precedenti.

L'intero rito viene detto 'A funzion, che si ripeterà più volte lungo il percorso, costituendo tappe concordate prima di giungere al Santuario. È una manifestazione danzante, benedicente che contempla la partecipazione attiva di tutte le bandiere del gruppo. Strettamente abbracciati per le diverse fasce di età, bambini e adulti che incedono incontro alla bandiera e poi si ritraggono per permettere ad altri di reiterare i movimenti ed i sentimenti. Una bandiera, che spesso è un trofeo storico, testimone di una devozione a lungo coltivata va a lambire benedicente i fujenti proni, in un movimento costante prodotto dallo sbandieratore che compie un vortice di braccia mentre la lunga asta è infoderata in un sospensorio di cuoio legato ai fianchi e sospeso sul basso ventre. Segue la corsa finale di un gruppetto di fuienti, 'a caduta, e l'abbandono nel nulla, che nella nostra società ha significato nell'ultimo cinquantennio anche la possibilità di sfracellarsi contro i marciapiedi di lava vesuviana o sui basoli o sul più moderno asfalto. Su tutti questi devoti, diversamente posizionati, passa il Carro o il Tosello con l'Immagine beneaugurante di Maria. Questa fase la chiamano 'o trase e iesce, caratterizzato da un particolare incedere avanti veloce e indietro lentamente ondulante, ripetuto per tre volte. È una sorta di danza rituale sostenuta, anzi ritmata, dalla banda musicale che alterna le note di Noi vogliam Dio e la Canzone del Piave di E. A. Mario, pseudonimo del Maestro Gaeta.

Questa ritualità, ripetuta più volte durante il percorso, assume una forma più solenne all'ingresso del Santuario, con un moltiplicarsi dei tempi per ciascun gruppo e per un conseguente maggior disagio per chi era in attesa. Da qualche anno si ripete il tentativo di contingentare un tempo indispensabile e velocizzare l'accesso perchè la marea di persone è veramente enorme. Non è detto che tutti reggano al ritmo forsennato ed allo scoppio di emozioni e di stati ansiosi. Ricordo che negli anni '50 noi bambini, a Cercola, eravamo muniti di bottigliette di aceto, una sorta di Protezione Civile ante litteram, organizzata al solo scopo di sostenere e di far rinvenire gli svenuti. Era una forma di partecipazione attiva per la prontezza e per l'efficacia dell'intervento. A Madonna dell'Arco, invece, il fenomeno s'ingigantisce oltremodo ed opera un vero centro di Pronto Soccorso, una organizzazione assistenziale, un vero ospedale da campo per assistere le migliaia di devoti o diversamente devoti che ogni lunedì di Pasqua invadono il Santuario.

Testo: G. Mancini (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione

Storia

Nei secoli XV-XVI, ai numerosi viandanti che percorrevano la via sommese, l'antica strada acciottolata che da Napoli conduceva a Somma Vesuviana, si apriva un cammino agreste, paradisiaco se non ci s'imbatteva nella violenza della natura o nella ferocia dei briganti. Quotidianamente era percorsa da contadini e da mercanti, ma non mancava occasione che nobili presenze di aristocratici o di ecclesiastici altolocati ravvivassero la fantasia dei popolani. Da quando a Napoli regnavano gli Angioini, capitava di ammirare anche qualche testa regale diretta alla vicina Somma. Solo poche centinaia di metri distanziavano il villaggio di Gennazzo, dell'Universitas di Trocchia, dove si potevano rifocillare presso la taverna dell'Jnnazzo e, poi, raggiungere Arco, appena alle porte dell'Universitas di Santo Nastaso, oggi detta Sant'Anastasia. Forse, non c'era neppure una cappellina al villaggio, forse non era neppure un villaggio Arco, ma solo un rudere che testimoniava una più antica gloria, una sorta di acquedotto tra la montagna del Somma ed Arcora, l'odierna Pomigliano d'Arco, sopra una stradina che permetteva di raggiungere masserie incastonate nella campagna. Questa via architettonica giuocava intersecandosi o accompagnandosi con altre due vie d'acqua, famose, sotterranee, che hanno sostanziato per oltre un millennio la gloria di Napoli, il fiume Sebeto: la sorgente di Santa Maria del Pozzo a Somma e la Preziosa, ove più antiche vestigia attestavano il lavoro sudato dei coloni e la preghiera salmodiante dei figli di S. Benedetto.

All'incrocio, forse, della via sommese con le altre strade di comunicazione, su un muro di confine, tra il XIV ed il XV secolo, una mano devota aveva affrescato l'immagine di Maria e del Bambino, dando inizio ad un incessante dialogo di affetto alla Madonna e di sicurezza per i viandanti. Era un'edicola votiva, come tante altre nel vesuviano, che sostenta una certezza nel trascorrere del tempo. Chi l'aveva dipinta così bella e così popolare? Nessuno lo potrà mai dire, anche se si registra qualche attribuzione riferibile ad un successivo restauro commissionato a Bernardo Tesauro. Si potrà raccontare con fondatezza, invece, che all'inizio del XVI secolo, cioè pochi decenni dopo l'avvenimento che segnò la storia di questi luoghi, il culto alla Madonna dell'Arco era diffuso oltre ogni aspettativa. L'edicola sorta per devoti viandanti locali divenne un culto esportato non solo nell'hinterland napoletano, ma anche oltre. Sull'antica chiesa di S. Simplicio in Panicocoli, l'odierna Villaricca, ne fu costruita una nuova, dedicata alla Madonna dell'Arco, già nel 1513. Altrettanto antiche appaiono le chiese di Miano e Melito, anch'esse a nord di Napoli, nelle quali era vivo lo stesso culto. Lo attestano gli Atti della S. Visita del Cardinale Francesco Carafa, del 1542. Oltre i confini di Napoli, sebbene fosse all'interno del Regno, nel 1520 è attestata una chiesa consacrata alla Madonna dell'Arco nell'Universitas di Mangone, presso Cosenza.

L'evento

Che cosa avvenne, dunque, di tanto eclatante da trasformare una devozione locale in un culto diffuso? Intorno al 1450, nella località Arco, che doveva essere amena e spaziosa, si poteva organizzare facilmente un raduno di paesani per divertirsi e per sfidarsi in vario modo. Proprio nei pressi dell'edicola muraria i giovani presenti si suddivisero per giocare una partita di palla a maglio a stravare, in cui oltre all'abilità del giocatore si richiedevano due elementi, una palla o una pietra ed un bastone. Forse, era il secondo giorno di Pasqua di Resurrettione. Come sempre accade in ogni sfida, ne risultò un vincente ed un perdente, il quale scaricò la sua bile sull'immagine della Madonna dell'Arco lanciandoLe contro la palla o, più propriamente, una pietra. Una ferita si aprì sul suo zigomo sinistro dal quale fuoriuscì abbondante sangue. Tutti i presenti gridarono al Miracolo ed al giovane blasfemo di Nola toccò in sorte l'impiccagione ad uno sfortunato tiglio, immediatamente seccatosi perchè reo di aver sostenuto il cappio.

È un avvenimento storico? È una storicizzazione devozionale? La risposta verrà dettata dalle proprie convinzioni, storiche o religiose o scientifiche. La pietra, o la variante 'palla', è un segno ricorrente in molteplici manifestazioni religiose e fu, appunto, quel 'miracolo' a segnare la nascita del fenomeno storico della festa di Madonna dell'Arco, che oggi raccoglie centinaia di migliaia di devoti il lunedì in albis di ciascun anno. S'iniziò, allora, una devozione determinante dal punto di vista umano, sociologico e religioso. All'indomani dell'evento, oltre ad una stanzetta per abitazione di un eremita che curasse la nuova devozione, fu decisa la costruzione di una cappella per raccogliere gli accresciuti devoti. Poi, il romitaggio fu trasformato in beneficio curiale assegnato ad un cappellano dal Vescovo di Nola. Così la burocratizzazione del culto divenne occasione di litigi, reiterati fino alla fine del secolo XVI tra la Municipalità di Sant'Anastasia e la Diocesi di Nola. Maxima devotio habetur... maximo concursu personarum, la devozione raccoglieva oramai una moltitudine di persone, affermava il vescovo di Nola Mons. Antonio Spinola, già il 20 aprile 1580.

Miracolo dei piedi

Un nuovo miracolo scosse la comunità dei devoti. Durante le festività pasquali del 1589, Aurelia Del Prete (Auleria delo Preite) accompagnò il marito Marco Cennamo (Marco de Centamo), gravemente sofferente agli occhi, per offrire alla Madonna dell'Arco un ex voto di cera. La donna s'incamminò più svelta, accompagnandosi con un porcellino che si disperse nel trambusto della folla. La tensione divenne esplosiva quando, finalmente, il marito la raggiunse alla porta della cappella. All'hora la donna diabolica, o fusse perchè vidde il marito, che contro sua voglia l'havea mandata a portare il voto, o pure per conto dell'animale, che tanto l'havea fatta cercare, ripiena di sdegno e di furore infernale prende il voto di cera, lo sbatte in terra, lo calpestra con li piedi bestemmiando e maledicendo la Madonna santissima dell'Arco., chi l'haveva depinta, chi ci veniva e chi l'adorava... Il marito la rimproverò con determinazione, prospettandole una giusta punizione. L'anno successivo, la notte tra la domenica di Pasqua ed il lunedì in albis del 1590, Aurelia del Prete, già da lungo tempo sofferente e allettata li cascorno in tronco li piedi, senza dolore e senza sangue, anzi senza che lei se ne accorgesse, uno in tutto et per tutto, restando l'altro attaccato con un picciol nervicino et del resto tutto staccato

Questa descrizione del miracolo è del Domenici, raccolta dalle testimonianze dirette. Anzi l'autore descrive il tentativo di seppellire questi piedi caduti che ritrovarono la pace solo quando vennero esposti nella cappella acciò da tutti più facilmente potessero esser visti. La donna infelice, e colpita dalla punizione divina, morì pentita pochi mesi dopo. Il miracolo ora raccontato si presta ad una serie indefinita di ipotesi chiarificatrici. È opportuno, per la pochezza dello spazio disponibile, lasciare alla sensibilità individuale un giudizio sull'accaduto. È certo, comunque, che l'evento fu determinante per rivitalizzare la devozione, centuplicando l'afflusso dei fedeli e la consistenza delle offerte. S'iniziarono, allora, i dissensi tra il vescovo di Nola Fabrizio Gallo e la Municipalità di S. Anastasia. Ambedue le autorità usarono mezzi utili ad affermare la propria supremazia. Appena a maggio 1590, il vescovo decretò la chiusura della cappella, riaperta poco dopo, ed istruì un processo canonico sull'ipotizzato miracolo di Aurelia del Prete. Lo scrittore Pietro Rosella attesta la serie degli atti processuali, poi scomparsi.

Ex-voto

Quello degli ex-voto non è un fenomeno esclusivo di questa devozione e neppure del solo ambito cristiano cattolico. Tutte le civiltà manifestano un patrimonio segnico. Gli ex voto di Madonna dell'Arco compaiono fin dalla nascita del culto. Tra quelli giunti fino a noi il più antico è probabilmente datato 1499. Due considerazioni sono doverose: la prima rimanda alla costruzione della Cappella primitiva, avvenuta poco dopo l'evento, quant'anche esso fosse destituito di ogni fondamento storico; la seconda ritiene molto plausibile che tra gli ex-voto andati perduti certamente debbano annoverarsi i più antichi.

Il Santuario è ricco di una collezione di oltre 8000 esemplari, così suddivisi: 688 del XVI secolo, di cui 542 presentano un dipinto su tavoletta di pioppo o di noce e 146 su carta incollata su legno; nel secolo XVII fu adoperato legno di castagno o di ulivo e per i dipinti su carta il supporto spesso era di abete. Nello stesso tempo s'iniziò ad usare la tela, che si dimostrerà il supporto più diffuso nel secolo successivo. Nel XVIII secolo, infatti, dei 937 ex voto, ben 848 sono dipinti su tela; negli ultimi due secoli, infine, oltre alla tela sono stati usati materiali multiformi, prodotti dell'odierna tecnologia. Due elementi sono ricorrenti nell'iconografia della Madonna dell'Arco: le lettere puntate V. F. G. A. Votum feci Gratiam accepi e l'anno di grazia 1521 o 1593 o 1598 ecc. Solo su alcune tavolette è riportata la motivazione che ha determinato l'atto di devozione.

Gli ex voto, dunque, costituiscono una prova storica di notevole importanza, anche se il loro valore spazia in molteplici ambiti, come quello della pittura, dell'antropologia, della religiosità popolare, degli usi e costumi vesuviani. La loro organizzazione tematica permette di raggiungere un'analisi statistica di grande rilevanza.


Foto: A. Rossi, 1960
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: V. Contino, 1970
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: A. Rossi e L. Mazzacane, 1974
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: P. Ciambelli, 1980 - Funzioni per la Madonna dell'Arco
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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