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Articoli filtrati per data: Marzo 2014

2013-2014

14 febbraio - 8 marzo 2013 - Pegni d'amore dagli archivi del Museo

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L'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia propone, dalle collezioni del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, una selezione di oggetti collegati al tema dell'amore, esposti nella Sala delle Colonne dal 14 febbraio (ricorrenza di San Valentino) all'8 marzo. I pegni d'amore costituiscono una delle principali categorie di doni che, in ambito rituale, sono offerti non tanto a un singolo individuo ma in virtù della sua posizione all'interno della famiglia o del suo rapporto con il donatore.

Tra i doni più diffusi vi sono oggetti con scritte d'amore e strumenti per il lavoro femminile e per la casa: rocche decorate secondo una simbologia di fertilità o con figure umane e zoomorfe; stecche da busto in legno arcuato, con motivi di cuori, stelle, rami fioriti, chiavi, disegni geometrici o immagini riferite alla coppia; scaldini in ceramica "ricamati"; stampi per dolci.
Simboli che alludono all'unione sono presenti anche in alcuni anelli di fidanzamento: due mani che si stringono o che sorreggono un cuore, le colombe, la doppia spola e la doppia foglia. Un esempio di dono femminile agli uomini è rappresentato da alcuni fazzoletti ricamati, che recano sul bordo versi amorosi indirizzati al futuro marito.

A cura dell'Archivio di Antropologia Visiva (Emilia De Simoni, Stefania Baldinotti, Stefano Sestili) e del servizio Inventario e Depositi Etnografici (Paolo Maria Guarrera, Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone, Anna Cologgi, Franco Rossi Gandin)

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Pegni d'amore (di Stefania Baldinotti)

Il pegno d'amore è stato ed è tuttora simbolo dell'amore eterno e della fedeltà tra due persone che si amano. In un passato non tanto remoto ai doni che si scambiavano tra innamorati era delegata la funzione di comunicare all'esterno ogni piccolo passo che due giovani compivano durante il periodo del fidanzamento: il corteggiamento, la dichiarazione, la richiesta ufficiale della mano della sposa erano accompagnati da veri e propri rituali che si svolgevano nell'atmosfera festosa che preannunciava la tappa definitiva del matrimonio e quindi la formazione di un nuovo nucleo familiare all'interno della comunità. Pegno d'amore per eccellenza, l'anello, anche detto anello celato per distinguerlo dall'anello delle nozze, viene portato in dono dai giovani più facoltosi, ma sono diffusi anche altri gioielli, come pettini, spille, orecchini in oro o in argento decorati con simboli che alludono all'unione amorosa, come gli anelli di fidanzamento detti "a manucce", che rappresentano due mani che si stringono o che sorreggono un cuore: il repertorio decorativo è ricchissimo, parole d'amore incise nell'oro o dipinte a smalto, colombe, stelle, chiavi, nodi d'amore, fiori ed intrecci di elementi vegetali spesso elaborati nell'ancora attuale schema concentrico della presentosa. Altri doni di fidanzamento molto diffusi sono gli strumenti per il lavoro femminile che preannunciano le attività della donna nel suo futuro ruolo di moglie e di madre, ad esempio tra gli attrezzi per la filatura ed il ricamo è molto frequente che il fidanzato regali una rocca, realizzata con le sue mani e decorata con simboli di fertilità e d'amore o con figure umane, spesso una figurina femminile che simboleggia l'amata. Il pensiero premuroso del fidanzato si esprime anche attraverso altri oggetti di utilizzo quotidiano, oltre ai piatti ed ai boccali in ceramica decorati con frasi affettuose è frequente anche che venga portato in dono uno scaldino, una sorta di cestino di ceramica o terracotta traforato e ricamato come un merletto al cui interno un po' di brace accesa consente all'amata di tenere le mani al caldo. Esiste poi un dono di natura molto intima che le ragazze conservano gelosamente: la stecca da busto, fascia di legno flessibile che costituisce il sostegno interno del bustino, elemento fondamentale dell'abito tradizionale femminile. Particolarmente diffuse in tutta l'Italia centro-meridionale, le stecche da busto, che l'innamorato intaglia personalmente con i motivi tradizionali dell'alfabeto simbolico dell'amore, sono il pegno che le ragazze tengono più vicino al cuore: chiamata proprio per questo "dono del cuore" la stecca intagliata è accompagnata da molte usanze rituali, come quella di deporla nella cassa del marito deceduto troppo giovane in segno di perpetuo amore. Oltre a cuocere pani o dolci lavorati con decorazioni a stampo ottenute con timbri di legno incisi con motivi di cuori che l'innamorato stesso scolpisce per poi donare all'amata, l'esempio più classico di dono femminile è rappresentato dai fazzoletti. Regalare come pegno d'amore fazzoletti che recano sul bordo versi amorosi ricamati - fazzolettini da mettere al taschino o grandi fazzoletti colorati da annodare intorno al collo - significa asciugare le lacrime delle pene d'amore: il futuro marito ne ostenta il possesso davanti agli amici indossando il fazzoletto sull'abito della festa con chiaro significato di fedeltà.

Bibliografia
Bellucci G., Folclore umbro. Pegno di fidanzamento, 1898
Toschi P., Il Folklore, Roma, 1954
Toschi P., Arte popolare italiana, Roma, 1960
Toschi P., Il Folklore, tradizioni, vita e arti popolari, in Conosci l'Italia, vol. XI, Milano, 1967


 

9 novembre 2013 - 2 febbraio 2014 - MOSTRA DOSSIER: L'ARTIGIANATO SARDO DI IERI E DI OGGI

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Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari organizza, a conclusione del progetto "Arcipelago Mediterraneo", realizzato nell'ambito del Programma Operativo di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Francia Marittimo, una serata ed una mostra dedicate alla cultura sarda. Nel Salone d'Onore del Museo, sabato 9 novembre 2013, dalle ore 15.00 alle ore 19.30, la Sardegna sarà al centro dell'attenzione.
Nella Sala Dossier, adiacente, fino all'8 dicembre, sarà possibile visitare una mostra di artigianato sardo dalle collezioni museali, affiancata da una selezione di manufatti moderni, curata dall'arch. Antonello Cuccu. Si potranno confrontare gli oggetti del passato con la produzione attuale: abiti, gioielli, tessuti, cestini e ceramiche di una terra dove l'artigianato è continuità. Sarà anche esposta un'ampia selezione di foto di Sebastiana Papa, dalla ricerca sul campo "Orgosolo 1966": uno spaccato duro e poetico della vita sarda in Barbagia.

Si ringrazia l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, in particolare la Direttrice Laura Moro, per aver gentilmente concesso la riproduzione delle immagini di Sebastiana Papa e la stampa dai negativi.

Allestimento: Stefania Baldinotti, Emilia De Simoni, Nicolò Giacalone, Paolo M. Guarrera, Roberta Scoponi, Franco Rossi Gandin
Organizzazione tecnica: Stefano Sestili - Archivio Fotografico: Marisa Iori - Archivio Stampe: M. Letizia Campoli


 

29 maggio - 14 dicembre 2014 - A SUD DEL MUSEO

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La mostra dossier "A Sud del Museo" rientra nell'ambito delle iniziative espositive che il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ha avviato nel 2013 con la finalità di presentare, in percorsi tematici periodici, alcuni esemplari tratti dalle collezioni conservate nei depositi museali. La riproposizione degli oggetti alla pubblica fruizione è iniziata con l'artigianato sardo e prosegue nel 2014 con una mostra dedicata alle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia.

"Mio sud, / mezzogiorno / potente di cicale" scriveva il poeta calabrese Franco Costabile: in letteratura e in antropologia il Sud è stato spesso rappresentato come un territorio fortemente evocativo, una sorta di alterità colorata e luminosa, spesso accompagnata da venature di arcaicità.

"A Sud del Museo" intende offrire, attraverso l'esposizione di costumi, maschere, oggetti devozionali, cartelloni di cantastorie, strumenti di lavoro e manufatti artigianali, un itinerario visivo in cui si intrecciano temi del quotidiano e del festivo, episodi delle vite individuali raccontati negli ex voto: grazie ricevute, interventi salvifici di figure religiose che, dall'alto, governano il rischio dell'esistere. Un esistere, nel Sud, che è anche gioiosità e ironia delle maschere carnevalesche, delle marionette allusive, e sapiente bellezza di opere uniche prodotte tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.

A SUD DEL MUSEO

Mostra dossier a cura di Emilia De Simoni
Mostra di grafica a cura di M. Letizia Campoli
Direzione tecnica: Stefano Sestili
Allestimento, restauro e conservazione: Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone
Collaborazione all'allestimento: Franco Rossi Gandin
Didascalie: Francesca Montuori
Verifiche inventariali: Giuliana Barilà
Strutture: MATEC Impianti di Mario Trincia


 

24 giugno - 30 luglio 2014 - LA MAGIA DEL COLORE NELL'ARTE TRADIZIONALE RUMENA

24-06-2014

La mostra "LA MAGIA DEL COLORE NELL'ARTE TRADIZIONALE RUMENA", che il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ospiterà dal 24 giugno al 30 luglio, è parte di una serie di eventi proposti nell'ambito del Festival Internazionale "PROPATRIA - Giovani Talenti Rumeni", che si svolgerà a Roma dal 20 giugno al 6 Luglio. Questa quarta edizione del Festival vedrà una partecipazione internazionale con nomi di spicco della cultura rumena: Cipriana Smarandescu (Italia), Elisabeth Sombart (Svizzera), Lavinia Dragos (Romania), Lucia Stanescu (Italia), Tudor Andrei e Aurelia Visovan (Austria), Vlad Crosman (Francia) e Lavinia Bocu (Romania), Catalina Diaconu (Italia), IAMAlina (Italia), nonché giovani ragazzi della diaspora rumena che eccellono in vari settori dell'arte e della cultura.
La mostra, ospitata dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari nell'ambito delle periodiche collaborazioni e scambi con istituzioni internazionali, sarà centrata sul costume popolare rumeno ed è realizzata grazie al contributo del Museo Nazionale del Villaggio - Dimitrie Gusti di Bucarest, CabliFunART Romania, l'artista Silvia Floarea Tòth e il Museo delle Guardie di Frontiera di Năsăud. Per più di un mese le due sale del Museo dedicate alle mostre temporanee si trasformeranno in un vero e proprio angolo di Romania: un villaggio tradizionale in miniatura.
Abiti tradizionali appartenenti al patrimonio storico del "Museo del Villaggio" e provenienti dalle principali zone geografiche della Romania si troveranno insieme agli antichi costumi della zona di Năsăud, proposti dall'Ambasciatrice del Costume Popolare Rumeno, Silvia Floarea Tòth. Completeranno l'esposizione tappeti decorativi, oggetti d'arredo, ornamenti, accessori, fotografie d'epoca: tutti materiali esposti per la prima volta fuori dal territorio nazionale. L'abito tradizionale romeno ricco spesso di decorazioni frutto di lunghe lavorazioni, è rimasto quasi immutato nei secoli: si trovano molte somiglianze tra il modo in cui si vestono ancora oggi i contadini di alcune località della Romania perfino con il modo in cui venivano rappresentati i daci sulla Colonna Traiana.
L'inaugurazione il 24 giugno alle ore 18.00 (ingresso libero) sarà accompagnata da uno spettacolo del coro multietnico "Incanto. Voci femminili senza confini" diretto dal M° Paula Gallardo Serao con l'Ensemble Artaras, Rep. Moldova, diretto da Lidia Bolfosu.
Il Festival è organizzato e promosso dall'Associazione culturale rumeno-italiana PROPATRIA con il sostegno del Ministero degli Esteri Rumeno-Dipartimento per i Romeni all'Estero e l'Ambasciata della Romania in Italia e con i patrocini di: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma-Assessorato per la Cultura, Creatività e Promozione Artistica, Comune di Roma-Municipio XIV, Accademia di Romania a Roma.


 

25 settembre - 25 novembre 2014 - 25.8.1964. C'ERA TOGLIATTI

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Dal 25 settembre al 25 novembre il MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI E TRADIZIONI POPOLARI ospiterà la mostra fotografica "25.8.1964. C'era Togliatti" che esporrà per la prima volta al pubblico romano le immagini con cui l'allora giovane fotografo Mario Carnicelli, pistoiese d'elezione, documentò, con intensità e modernità di sguardo, la partecipazione alle esequie di Palmiro Togliatti dal 22 al 25 agosto di 50 anni fa.
La mostra, prodotta dal COMUNE DI PISTOIA - PALAZZO FABRONI ARTI VISIVE CONTEMPORANEE, curata scientificamente da Bärbel Reinhard e Marco Signorini, è inserita nell'ambito della XIII edizione di "FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma". Da questa mostra è stata tratta un'edizione speciale dell'editore ravennate Danilo Montanari che raccoglie, in una scatola di legno, 35 delle fotografie scattate da Mario Carnicelli durante i funerali del "Migliore" nell'agosto del 1964.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ha voluto, ospitando questa esposizione nelle sue sale, contribuire ad una visione e rappresentazione della società italiana nella convinzione che lo sguardo degli artisti renda testimonianza dell'evoluzione dei processi antropologici del divenire della nostra società. I numerosi scatti fotografici sono allestiti a grandezza naturale, per creare un dialogo fra le immagini e gli spettatori. Se ancora oggi è possibile ri-guardare queste immagini, in una trasposizione visiva essenziale e per questo 'eterna', è perché a loro volta esse, tramite questi sguardi, ci riguardano, anche nell'accezione di avere a che fare con noi. Rinnovano il senso di partecipazione di una collettività tutta e affermano il valore dello sguardo di un artista che si è fatto testimone della storia del suo Paese.
Le fotografie sono accompagnate da alcuni testi, tra i quali quello di Alfredo Reichlin di cui si riporta questo breve stralcio: "Queste foto ci riportano a quella giornata drammatica e irripetibile. Fu la più intensa manifestazione di popolo che io abbia mai visto. Dico intensa nel senso del sentimento che quel popolo esprimeva e nei suoi significati. Da un lato i sentimenti semplici, elementari, il dolore per la morte di una persona cara. Dall'altro la sensazione che finiva un'epoca e che colui che veniva a mancare non era una persona come le altre, era il loro Capo. Io camminavo dietro il feretro insieme ai compagni della segreteria e la cosa che più mi colpì fu un gruppo di operai abbarbicati a una inferriata in via Labicana che ci gridava col pugno chiuso e piangendo come bambini : "non traditelo". Tale, in effetti era il rapporto tra Palmiro Togliatti e il suo popolo. Era una grande mente, aveva la cultura e la taglia di quei grandi intellettuali europei che l'Italia ogni tanto è capace di esprimere" (Alfredo Reichlin)
Nel pomeriggio del 25 Settembre, in occasione dell'apertura, sarà presente l'autore che accoglierà i visitatori per introdurli alla mostra.
Mario Carnicelli è nato ad Atri nel 1937. All'età di dodici anni si trasferisce con la famiglia a Pistoia, frequentando fin da piccolo lo studio fotografico del padre. Più incline alla fotografia documentaria che all'attività commerciale, lavorerà in seguito come fotogiornalista freelance ed inviato speciale, portando avanti anche progetti di ricerca personali. Nel 1966 vince una borsa di studio che gli permette di viaggiare per gli Stati Uniti, dove tornerà più volte per realizzare un lavoro originale e rilevante. Ha collaborato con varie riviste e quotidiani, tra i quali: Espresso, Panorama, Corriere della Sera, Il Giorno, Popular Photography, la Nazione. Ha collaborato con l'Istituto di Etnologia dell'Università di Perugia. Ha esposto in Europa e negli Stati Uniti, all'Interkamera di Praga, al SICOF Milano, al Grattacielo Pirelli di Milano, al Cantiere Sperimentale dell'Immagine di Firenze, alla Johns Hopkins University
di Bologna. Vive e lavora a Pistoia.

Nell'ambito della mostra viene proiettato il documentario
L'ITALIA CON TOGLIATTI
Produzione: UNITELEFILM
Collaborazione per la regia: Gianni AMICO, Giorgio ARLORIO, Libero BIZZARRI, Carlo LIZZANI, Francesco MASELLI, Lino MICCICHE', Glauco PELLEGRINI, Elio PETRI, Sergio TAU, Paolo TAVIANI, Vittorio TAVIANI, Marco ZAVATTINI, Valerio ZURLINI
Voce di Enrico Maria SALERNO
Durata 40' – b/n

Il film è la cronaca dei funerali di Palmiro Togliatti. Il segretario del Partito comunista muore a Yalta, il 21 agosto 1964. Qui Togliatti riceve l'estremo saluto dei ragazzi del campo Artek. I dirigenti sovietici seguono fino all'aeroporto la salma di Togliatti, insieme ai dirigenti comunisti italiani che lo accompagnano nel suo ultimo viaggio di ritorno in patria. Atteso da migliaia di compagni - la bara è portata a spalla da un gruppo di giovani comunisti - Togliatti arriva a Roma. Un flusso ininterrotto di persone scorre nella camera ardente allestita nella sede della direzione del partito. Poi, una folla immensa, di circa un milione di persone, segue la salma del dirigente comunista scomparso, fino a piazza San Giovanni, quindi al cimitero del Verano.


"25.8.1964. C'era Togliatti"
Foto di Mario Carnicelli
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
25 settembre - 25 novembre 2014

A cura di Baerbel Reinhard e Marco Signorini
Una mostra in collaborazione con il Comune di Pistoia, Palazzo Fabroni
Responsabile scientifico MAT: Maura Picciau
Comunicazione: Francesco Aquilanti, Emilia De Simoni
Segreteria organizzativa: Laura Ciliberti, Marina Innocenzi, Claudia Graziosi
Amministrazione: Raffaella Bagnoli, Maurizio Di Gregorio, Gianna Rita
Allestimento e tecnologie: Stefano Sestili, ditta Matec

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2010-2012

10 dicembre 2009 - 10 gennaio 2010 IL TIRO DELLA GRANDE FUNE
Mostra fotografica realizzata da Massimo Berretta.

Il Tiro della Grande fune (Naha ōzunahiki) si svolge annualmente a Naha, capoluogo dell'isola di Okinawa, nella domenica di ottobre che precede il giorno della Festa dello sport. È una sorprendente competizione durante la quale due squadre opposte si sfidano tirando una corda gigantesca. La fune, realizzata oggi in paglia proveniente da Taiwan, è la più grande del genere mai costruita ed è entrata a far parte del guinness dei primati nel 1995. L'evento, che occupa il secondo giorno del grande Festival di Naha costituendone l'attrattiva principale, è preceduto al mattino dalla parata dei 14 stendardi, ognuno dei quali rappresenta un quartiere della città. La parata degli stendardi parte dalla via Kokusai Dōri e guida la grande folla degli spettatori fino al crocevia di Kumoji dove ha luogo la gara del Tiro della Grande fune. La tradizione del tiro alla fune di Naha risale al XVII secolo ma lo svolgimento annuale è entrato in vigore solo dal 1971, in occasione del 50º anniversario della fondazione del governo municipale di Naha. La grande fune è costituita da due elementi, maschio (wuunna) e femmina (miinna), di uguale lunghezza, peso e larghezza, che presentano ad una delle due estremità una chiusura a forma di grande anello. Durante la cerimonia l'unione dei due anelli viene realizzata per mezzo di un bastone (kanuchiboo) di legno di sandalo rosso, del peso di 365 kilogrammi, lungo 3 metri e 65 centimetri e con un diametro di 43 centimetri. Dopo che ha avuto luogo questa unione, i gruppi rivali rispettivamente rappresentanti l'Est (corda maschio) e l'Ovest (corda femmina) si potranno affrontare e potranno iniziare a tirare la grande fune, ciascuno nella propria direzione, fino a quando uno dei due supererà i 5 metri dal centro della linea di partenza aggiudicandosi la vittoria. Le grida di incitamento dei capi delle due corde e le parole pronunciate a gran voce dai partecipanti per scandire il tempo e accompagnare lo sforzo fisico, si mescolano alla musica e al ritmo crescente dei tamburi mentre una moltitudine di spettatori assiste eccitata. Ad aderire ogni anno sono in migliaia: circa 280 mila persone, di cui più di 100 mila sono coloro che partecipano tirando la fune. Sebbene in origine questo rituale appartenesse esclusivamente alla sfera del religioso con la principale finalità di propiziare l'esito di abbondanti raccolti, in tempi più recenti, la festa ha assunto un valore squisitamente celebrativo. Con tale manifestazione, infatti, si vuole commemorare l'incursione aerea del 10 ottobre 1944, evento nefasto durante il quale la città di Naha fu quasi completamente rasa al suolo. Nella mostra è esposta anche una selezione di preziosi manufatti di corallo e di madrepore, della collezione privata Liverino di Torre del Greco. I manufatti, databili tra il XVIII e XIX secolo, sono esempi di differenti tipologie di corallo: asiatico e mediterraneo. L'isola di Okinawa ancora oggi rappresenta una fonte fiorente di coralli che esporta per la lavorazione in tutto il mondo.


15–21 giugno 2010 - CAMPUS ROM, C'ERA UNA VOLTA SAVORENGO KER
A cura di Michele Carpani, Max Intrisano, Maria Teresa Bovino

La mostra è un evento collaterale della I ed. della Festa dell'Architettura di Roma "Index Urbis"
L'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (IDEA) ospita una mostra multimediale che racconta due esperienze di ricerca realizzate dal collettivo di artisti Stalker/ON in collaborazione con le comunità Rom della capitale. Due anni di lavoro, vissuti tra intese e malintesi, che hanno visto nascere progetti coraggiosi e sogni condivisi, narrati dalla mostra fotografica Campus Rom e dal documentario "C'era una volta... Savorengo Ker, la Casa di Tutti" di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, presentato in anteprima assoluta.
MOSTRA FOTOGRAFICA "CAMPUS ROM"
Il racconto, attraverso lo sguardo eterogeneo di diversi fotografi, di "Campus Rom, oltre i campi nomadi". Un progetto di ricerca transdisciplinare, formazione reciproca, progettazione e azione condivisa, attivato, da Stalker/Osservatorio Nomade, insieme a diverse comunità rom di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Urbani della Facoltà di Architettura di Roma Tre ed altre organizzazioni cittadine, nazionali e internazionali, per affrontare l'emancipazione civile, culturale, economica, sociale e abitativa dei Rom, verso il superamento della realtà dei campi nomadi in Italia. Lo scopo dei fotografi è stato quello di documentare l'intervento diretto nello spazio urbano e narrare il processo costantemente aperto e fluido di attraversamento e superamento delle barriere tra le varie culture, e le energie che si sono sviluppate dando vita ad un'arte combinatoria in grado di rendere percettibile una comunità "invisibile".
Fotografie di: Simona Caleo, Giorgio de Finis, Max Intrisano, Massimo Percossi, Maria Stefanek, Maria Teresa Bovino, Hector Silva Peralta, Alessandro Imbriaco
ANTEPRIMA DEL FILM "C'ERA UNA VOLTA... SAVORENGO KER, LA CASA DI TUTTI"
Savorengo Ker (che in lingua Romanés significa "la casa di tutti") è un progetto sperimentale di costruzione partecipata realizzato nell'ex campo rom Casilino 900. È la storia di un'idea semplice e coraggiosa, divenuta il simbolo di emancipazione di una comunità emarginata. Il progetto è stato ospitato alla Biennale di Architettura di Venezia, è stato visitato da numerosi parlamentari europei, recensito dalla stampa internazionale e dibattuto nelle accademie di mezzo mondo, ma a Roma, dove la casa è stata costruita e presentata, ha incontrato solo ostilità e inutili polemiche. Ora quella casa non c'è più.
Regia di: Fabrizio Boni e Giorgio de Finis. Produzione: In Iride Sfoggio 2009. Durata: 55 minuti
TAVOLA ROTONDA
Insieme ad antropologi e architetti, ai rappresentanti delle comunità Rom e delle associazioni che operano sul territorio, si discuterà delle conseguenze del nuovo piano nomadi a Roma e delle proposte per superare il dispositivo dei campi rom, nel tentativo di individuare tematiche e strategie capaci di sottrarre il dibattito in corso dalla trappola dell'emergenza sociale.
Intervengono: Stefania Massari (direttrice dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia); Emilia De Simoni (antropologa, Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia); Barbara Terenzi (coordinatore Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani); Mirsad Sedjovic, Hakja Husovic, Bayram Hasimi, Nenad Sedjovic, Klej Salkanovic (direttori dei lavori della casa Savorengo Ker); Najo Adzovic (Coordinatore di Rom a Roma); Graziano Halilovic (presidente Roma Onlus); Giorgio Piccinato (ex direttore del DIPSU); Francesco Careri (Stalker/ON, DIPSU); Lorenzo Romito (Stalker/ON); Marco Solimene (antropologo); Fabrizio Boni e Giorgio de Finis (autori del film "C'era una volta...Savorengo Ker, la casa di tutti").


3 marzo 2011 - 8 maggio 2011 - L'INVERNO RUSSO
Mostra organizzata con il Festival Internazionale Diaghilev Post Scriptum e l'Unione Artistica Europea

Nell'ambito delle manifestazioni per l'Anno della cooperazione culturale Italia-Russia, il Festival Artistico "Diaghilev Postscriptum" di San Pietroburgo, rappresentato dal direttore artistico Natalia Metelitsa e dal Direttore esecutivo Ekaterina Sirakanian, d'intesa con l'Unione Artistica Europea (UAE) di cui è Presidente Marisa Pinto Olori del Poggio, e con il sostegno del Prof. Louis Godard, ha promosso la mostra "L'inverno russo".
La mostra illustra attraverso l'esposizione di 200 oggetti provenienti dai più prestigiosi Musei di San Pietroburgo - Museo dell'Hermitage, Museo di Arte Russa, Museo Etnografico, Museo-Parco Nazionale Tsarskoye Selo (ex residenza imperiale), Museo "Peterhof" (ex residenza imperiale), Museo del Teatro e della Musica - le tradizioni delle feste invernali russe della Corte dello Zar che univano gli elementi della cultura popolare tradizionale a quelli dell'aristocrazia. Proprio gli oggetti, i costumi e le carrozze invernali saranno i protagonisti di questa mostra allestita su disegno di Emil Kapelush e Alexander Malishev, famosi designers di San Pietroburgo. Questi oggetti trasporteranno il visitatore nelle atmosfere fredde, ma accoglienti, della tradizione russa, rievocando una festa di origine antichissime: la Maslenitsa, considerata il ponte di passaggio dall'inverno alla primavera. L'antico evento, con la partecipazione sia della corte dello Zar che del popolo, veniva celebrato con musiche, balli, giochi e maschere e può essere equiparato al nostro Carnevale. Tra gli oggetti di maggior prestigio: la slitta dello zar Nicola II, la slitta di carnevale del XIII sec., i costumi del famoso Ballo al Palazzo d'Inverno del 1903, tenutosi per celebrare i 200 anni dalla fondazione della città avvenuta nel 1703, i costumi del ballo "Veronese" così chiamato in onore del Rinascimento italiano oltre alle tele del pittore Boris Kustodiev.


16 marzo 2011 - 15 maggio 2011 - L'ANGELO DELLE ACQUE
Opere recenti di Mario Teleri Biason

9 giugno - agosto 2011 - SPIRITUEL - HANJI Capolavori in carta di gelso dell'artigianato coreano
Mostra organizzata dall'Associazione Culturale Korean Art in Europa e dall'Hanji Development Institute

Esiste in Corea una connessione intima fra il buddismo e la carta. Durante il periodo Koryŏ, quando il buddismo era al culmine, veniva effettuato un gran lavoro di copiatura e di stampa dei sutra buddisti e di altri scritti. Naturalmente, questo richiedeva che vi fosse una fonte affidabile di carta di alta qualità , e i monaci di molti monasteri sparsi per il paese si dedicavano a soddisfare questa necessità. Svilupparono le loro tecniche alla perfezione e la carta coreana divenne molto apprezzata e ricercata, non solo dagli stessi coreani, ma anche dai cinesi e dai giapponesi. La carta coreana conosciuta con il nome di hanji (韓紙), prodotta principalmente con la pianta del "gelso della carta" (Broussonetia kazinoki), è famosa per la sua qualità fin dai tempi più antichi nei paesi confinanti, Cina e Giappone. È anche così strettamente collegata con la vita di ogni giorno dei coreani da essere elencata come uno dei "quattro amici necessari per lo studio" (la carta, il pennello per scrivere, l'inchiostro e il calamaio). Per i coreani è stata molto importante da sempre ed è un patrimonio culturale prezioso da far conoscere al mondo e che dovrebbe essere conservato intatto per le generazioni future. Molto tempo fa la carta coreana che oggi si chiama semplicemente hanji fu denominata con nomi diversi a seconda del periodo storico, del suo colore, delle sue dimensioni, dell'area in cui veniva prodotta, del materiale usato per crearla, del processo di produzione e del suo utilizzo. Si sono così classificati circa 200 tipi diversi di hanji. Questa grande varietà di carta usata principalmente per scrivere e dipingere, veniva impiegata anche per creare articoli di uso comune e bellissimi oggetti d'arte che avremo l'opportunità di ammirare in questa mostra che l'Associazione Culturale Korean Art in Europa con l'Ambasciata della Repubblica di Corea hanno voluto organizzare presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.


24-25 settembre 2011 - MODA E COSTUME AD ATINA NEI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO

La Mostra "Moda e costume ad Atina nei primi anni del Novecento" è curata dalla Direzione Generale PaBAAC e dall'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, con la collaborazione dell'Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, della Soprintendenza Archeologica di Roma e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, sede di Atina.
I cinque abiti femminili esposti, gli elementi di costume e i gioielli, appartenenti alle collezioni dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, provengono dalle località di Atina e Casalvieri e sono databili fra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX. Sono stati acquisiti fra il 1908 e il 1910 da Lamberto Loria per la grande mostra del Cinquantenario dell'Unità d'Italia, svoltasi a Roma in Piazza d'Armi nel 1911. I raccoglitori locali, oltre allo stesso Loria, risultano essere Mainardi e Graziani.
Tra gli abiti interi vi sono: un costume nuziale, un abito festivo e un costume da bambina. I gioielli di Atina in esposizione accompagnavano l'abito festivo; per quanto riguarda l'oreficeria di Casalvieri, i primi tre pezzi in ordine di numero di inventario sono relativi all'abito nuziale. Le foto degli abiti (Abito femminile, Atina 1907; Abito femminile, Atina 1907; Donna in abito da sposa o da cerimonia, Atina 1907), provenienti dall'archivio fotografico dell'Istituto, servivano all'epoca soprattutto per il corretto montaggio dei costumi in mostra. Palazzo Ducale - Atina


8-30 ottobre 2011 - L'ARTIGIANATO ARTISTICO TRA PASSATO E FUTURO
Mostra di opere degli allievi e dei docenti Scuola d'Arte e dei Mestieri del Comune di Roma "Nicola Zabaglia"

Assessorato alle Attività Produttive al Lavoro e al Litorale
Dipartimento Attività Economico-Produttive, Formazione-Lavoro
Nel 1870, un gruppo di artisti ed uomini di cultura romani, attivi nell'allora Consiglio Comunale, rappresentarono l'esigenza di accrescere qualitativamente la preparazione dei giovani che lavoravano nelle officine e nei laboratori artigiani, attraverso l'acquisizione delle cognizioni del disegno e della storia dell'arte. Così, l'anno successivo, nacquero le Scuole Serali del Comune di Roma, quali istituzioni culturali che offrivano una specifica preparazione culturale a fabbri, scalpellini, falegnami, intagliatori, decoratori etc con il preciso intento di valorizzare le opere frutto delle attività artigianali.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, nato per raccogliere i molteplici documenti "d'indole intellettuale, morale, artistica e pratica" come riporta il Regio Decreto del 1923, ha accolto in occasione dei festeggiamenti del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia l'esposizione delle opere degli allievi della scuola "N. Zabaglia", riaffermando in tal senso la propria missione istituzionale volta alla conservazione, alla salvaguardia ed alla valorizzazione delle arti applicate e dell'artigianato.
La mostra, a cura della Dott.ssa Stefania Severi e dell'Arch. Renato Borzelli, responsabile dell'allestimento, presenta le opere, circa 100, degli allievi e dei docenti della Scuola d'Arte e dei Mestieri del Comune di Roma "Nicola Zabaglia" elaborate nell'anno 2010-11. Tutti i corsi, guidati dal Prof. Roberto Sacco, all'epoca coordinatore, hanno avuto al centro della loro didattica il tema delle tradizioni in dialogo con le opere del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, istituito con i materiali della mostra tenutasi a Roma nel 1911 per i 50 anni dell'unità nazionale.
Il corso di pittura (Laura Barbarini) ha lavorato sui mesi dell'anno. Il corso di ceramica (Romana Vanacore e Graziella Zamarra) ha rivisitato il contenitore per l'acqua. Il corso di disegno (Franco Crocco) ha riproposto gli antichi mestieri. L'illustrazione (Barbara Duran) si è ispirata alle favole italiane di Italo Calvino. Vari oggetti di fattura italiana sono stati restaurati (Restauro di Materiali Antichi: Marco Castracane e Giuliano Salaro). Il corso di affresco (Michelina Lambriola e Cristiana Pompei) ha rielaborato "L'allegoria del Buon Governo" di Lorenzetti e soggetti pompeiani. Le tecniche pittoriche antiche (Letizia Ardillo e Alessandra Pasqualoni) hanno ideato segni zodiacali e finti marmi. Il corso di scultura e formatura (Antonella Conte) si è sbizzarrito dai bersaglieri alla "Pizza Italia". Il mosaico (Prof.sse Elisabetta Accoto e Gabriella D'Anna) ha ripreso frammenti di antichi mosaici. Il corso di grafica al computer (Rossella Canuti) ha elaborato locandine per il museo e il progetto "Facce d'Italia". Alcuni ex allievi si sono uniti con opere omaggio all'arte italiana. La mostra ha avuto una prima edizione a Capri (NA) presso il Centro Caprense "Ignazio Cerio" nello scorso mese di Giugno. Un CD, con veste grafica di Antonella Conte, raccoglie l'intera produzione. Antonella Conte ha curato altresì l'immagine della mostra.
La Mostra ha ottenuto il patrocinio della Regione Lazio - Assessorato Cultura Arte e Sport e della Provincia di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali.


10 novembre - 21 dicembre 2011 - IL PIANETA CARTA NEL III MILLENNIO - LE ORIGINI MARCHIGIANE: LA CARTA E FABRIANO

Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari che già in passato ha presentato a cura del CeSMA la Mostra ne promuove questa seconda edizione con carattere prettamente marchigiano e presenta alcune stampe ed alcuni volumi sul tema appartenenti alle proprie collezioni. L'esposizione, concepita in due sezioni strettamente correlate, una storica propedeutica ed una contemporanea vuole portare all'attenzione del visitatore la CARTA, quella di Fabriano, protagonista principale, unica ed insostituibile nelle varie forme ed applicazioni che l'uomo nel corso dei secoli le ha voluto dare. La sezione storica presenta alcuni documenti relativi al passaggio dall'uso della pergamena alla carta ed a seguire la carta per scrittura e stampa con riproduzioni delle storiche arti grafiche A. Tallone (dalla scrittura manuale a quella digitale); la filigrana (quale elemento di sicurezza e per riproduzioni artistiche) del Maestro Franco Librari; la carta per usi artistici con le incisioni del Maestro Roberto Stelluti, acquerelli degli artisti della Royal Water Colour Society; la carta per le banconote ed i valori e sua evoluzione. Il percorso espositivo accompagnato da un ricco apparato iconografico espone una cospicua parte di materiali provenienti dal Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano. Ne sono curatori Sandro Farroni già Direttore Generale della "Cartiere Miliani Fabriano SpA" e Venanzio Governatori quale Consigliere della Fondazione CARIFAC. Il nucleo contemporaneo, a cura di Stefania Severi, attraversa la seconda metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, partendo da tre presenze ampiamente storicizzate: Guelfo, Sante Monachesi e Wladimiro Tulli. Molti altri nomi sono presenti nell'esposizione Eros Donnini, Renzo Barbarossa, Bruno d'Arcevia, Maurizio Meldolesi, Riccardo Piccardoni, Mario Sasso, Sandro Trotti, Valeriano Trubbiani etc.
Nell'ambito della mostra martedì 29 novembre a partire dalle ore 10.00 nella Sala Conferenze si terrà una giornata di studio dedicata alla Carta di Fabriano ed alla sua utilizzazione. Interverranno oltre al Direttore ad interim dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari dott.ssa Daniela Porro, altri rappresentanti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Franco Moschini Presidente del CeSMa, Sandro Farroni esperto in carta, Stefania Severi critico d'arte, gli incisori Eros Donnini e Roberto Stelluti, Gabriele Mazzara per l'acquerello, Enrico Tallone tipografo storico artistico. Si terranno delle dimostrazioni sulla fabbricazione della carta a mano a cura del Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano e si concluderà con un assaggio di prodotti tipici marchigiani.


23 novembre 2011 - 5 febbraio 2012 - EROINE DI STILE. La moda italiana veste il Risorgimento

In occasione della mostra "Eroine di stile. La moda italiana veste il Risorgimento" organizzata presso il Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps (Roma) nel quadro delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, l'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia ha concesso in prestito 6 abiti tradizionali datati fine '800 - primi anni del '900.
Questi abiti furono esposti nella grande esposizione etnografica del cinquantenario dell'Unità d'Italia (Roma 1911) e fanno parte delle raccolte di Lamberto Loria, etnografo e fondatore storico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
I costumi tradizionali sono relativi a sei regioni d'Italia particolarmente interessate dai moti risorgimentali: Piemonte (Fobello); Lombardia (Premana); Lazio (Casalvieri); Calabria (San Lorenzo del Vallo); Liguria (Quaratica); Campania (Caserta e dintorni [Sessa Aurunca]). Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps


1 dicembre 2011 - 29 gennaio 2012 - LA TRADIZIONE DEI PRESEPI DI CRACOVIA
Mostra organizzata in collaborazione con il Museo Storico della Città di Cracovia

Ogni anno il Museo Storico della Città di Cracovia, in occasione delle festività natalizie, presenta nei musei degli altri Paesi i presepi delle sue collezioni; questi, sintesi di stili architettonici che vanno dal gotico al barocco al rococò, riproducono le cupole e le torri dei più famosi monumenti di Cracovia.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, nell'anno della Beatificazione di Giovanni Paolo II, ospita Cracovia con una mostra che sarà inaugurata nella Sala delle Colonne il 1 dicembre 2011, alle ore 17.00.
L'esposizione include nel suo percorso la Sala dedicata al Ciclo della Vita, nella quale oltre ai due presepi napoletani del '700, verranno esposti anche alcuni presepi di varie regioni italiane appartenenti alle collezioni museali.
Per l'allestimento dei presepi polacchi saranno utilizzati cassoni nuziali finemente intagliati in gran parte di origine sarda (fine 800 / inizi 900) della collezione originaria del Museo; per la prima volta verrà esposto un presepe polacco appartenente alle collezioni del Museo, restaurato nel 2007 in occasione del salone del restauro di Ferrara dello stesso anno. La manifestazione ha avuto il patrocinio della Fondazione "Giovanni Paolo II per la Gioventù".

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari


5 dicembre 2011 - 8 gennaio 2012 - LA FESTA DELLE FESTE
Roma e l'Esposizione Internazionale del 1911

festafeste

Dalla mostra inaugurata il 5 dicembre 2011 una nuova sezione espositiva permanente dedicata alle origini del Museo.
Il 2011 è stato un anno particolarmente significativo per il nostro Paese, che ha visto, sull'intero territorio nazionale, le celebrazioni per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia. Non poteva mancare in questo ambito di condivisione unitaria la testimonianza del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (attualmente compreso nell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, istituito dal MiBAC nel 2008). Il 5 dicembre 2011 è stata infatti inaugurata una mostra che ripropone i luoghi, gli eventi e le atmosfere connessi alle Mostre Etnografica e Regionale realizzate a Roma durante l'Esposizione Internazionale del 1911 (Roma, Torino e Firenze), dalle cui raccolte ha tratto origine il nucleo principale delle collezioni del Museo stesso.
Come una sorta di "mostra delle mostre", l'esposizione presenta, tra narrazione fotografica e ricostruzione documentaria, un itinerario attraverso le opere che in quell'occasione vennero realizzate sotto la regia dei più importanti architetti dell'epoca: apparati effimeri, ma anche importanti interventi urbanistici che, insieme, hanno contribuito a delineare la configurazione attuale di interi quartieri di Roma. Con la riproposizione di costumi tradizionali, oggetti della quotidianità e della religione popolare, viene ricostruito un passato che costituisce una tappa fondamentale della nostra cultura e della nostra identità. I materiali regionali esposti nel 1911 erano in parte costituiti dalla collezione dell'etnologo Lamberto Loria (1855-1913) che, dopo aver compiuto numerose spedizioni in paesi extraeuropei, si rese conto, durante un breve soggiorno nel Sannio, della necessità di documentare anche in Italia quella cultura agro-pastorale messa in crisi dalla progressiva industrializzazione. La mostra prende avvio dal volume "La festa delle feste. Roma e l'Esposizione Internazionale del 1911". In occasione della pubblicazione sono state acquisite numerose immagini relative ai luoghi e agli eventi dell'esposizione romana, dalle fototeche dell'Iccd, del Museo di Roma, del Vaticano e di Editalia. Il lavoro di ricerca documentaria, bibliografica e iconografica ha coinvolto le diverse professionalità del personale dell'Istituto e ha prodotto una consistente mole di informazioni. Su tali basi è stato costituito l'idoneo supporto scientifico per la realizzazione di questa mostra, il cui "progetto di conoscenza" è raccontare al pubblico un evento poco noto, che ha tuttavia lasciato tracce indelebili, dal punto di vista scientifico nella successiva museografia etnologica italiana e da quello storico artistico nel tessuto urbanistico della Capitale.

Ideazione e coordinamento generale: Stefania Massari, Daniela Porro (direttore ad interim dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia)
Mostra a cura di: Stefania Baldinotti, Emilia De Simoni, Paolo Maria Guarrera
Progetto di allestimento, direzione tecnica e progetto illuminotecnico: Oreste Albarano, Stefano Sestili
Testi: Stefania Massari, Stefania Baldinotti
Ricerche bibliografiche e documentarie: Stefania Baldinotti, Anna Paola Bovet, Laura Ciliberti, Francesco Floccia, Marina Innocenzi, Marisa Iori, Francesca Montuori, Valerio Lazzaretti, Lidia Paroli
Acquisizione, elaborazione digitale e masterizzazione delle immagini: Stefano Sestili con Simonetta Rosati
Laboratorio di restauro: Lucia Carta Brocca, Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone, Franco Rossi Gandin
Ufficio inventario: Anna Cologgi
Ufficio amministrativo: Loredana Alibrandi, Raffaella Bagnoli, Maurizio Di Gregorio, Enrico Vergantini
Segreteria: Claudia Graziosi
Allestimenti: Matec Impianti
Si ringraziano per i prestiti gentilmente concessi: Laura Moro, direttore dell'istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; la Biblioteca Vaticana.

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari


21 gennaio - 25 marzo 2012 - L'ABITO POPOLARE RUSSO

21-01-2012

in collaborazione con il Museo Etnografico Russo di San Pietroburgo

La Mostra presenta cinquanta abiti databili tra il XIX e il XX secolo, appartenenti alle collezioni del Museo Etnografico Russo di San Pietroburgo, originari di differenti regioni della Russia di cui una rilevante parte fu raccolta e conservata a partire dal 1867, anno in cui si tenne a Mosca la prima Esposizione Etnografica. Il criterio adottato nella scelta degli abiti esposti è stato quello di offrire, anche ad un pubblico non specializzato, la possibilità di apprezzare la tradizione culturale russa attraverso l'abito popolare e mostrare in maniera adeguata tutte le diversità ed il valore estetico dell'abbigliamento tradizionale. Il visitatore potrà così rintracciare immediatamente i temi dell'evoluzione storica ed osservare l'abito popolare con le sue peculiarità, il luogo in cui era diffuso, il legame con la ritualità, l'età e il sesso di chi lo indossava. I principali tipi di abiti maschili e femminili tra i quali il più arcaico con la poniova, il sarafàn un abito lungo senza maniche e l'abito con la gonna a righe. Ancora oggi, in alcune località, le donne anziane continuano a portare la poniova, la camicia, il perednìk ed il copricapo, secondo i modelli tradizionali. La collezione è stata esposta in Mostra nel 2009 a Parigi e viene riproposta a Roma in occasione dell'Anno della cultura e della lingua russa in Italia.


5 dicembre 2012 - 31 marzo 2013 - LA SEDUZIONE DELL'ARTIGIANATO. OVVERO: IL BELLO E BEN FATTO

05-12-2012

A cura di Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella

Una grande mostra che celebra la maestria sartoriale del Made in Italy attraverso l'esposizione museale di centotrenta abiti. "La Seduzione dell'Artigianato ovvero: il bello e ben fatto", promossa da Unindustria - Unione delle Industrie e delle Imprese di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo in collaborazione con CNA - Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa del Lazio e con il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, con il contributo della Camera di Commercio di Roma e con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Provincia di Roma, della Camera Nazionale della Moda Italiana e di AltaRoma, che inaugura il 5 dicembre presso il Salone d'Onore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni di Roma, è un tributo all'Alto Artigianato racchiuso nella moda italiana. Un focus sulle straordinarie lavorazioni e sulle sapienti mani artigiane che le realizzano, fiore all'occhiello del bello e ben fatto rigorosamente italiano. La vernice della mostra sarà preceduta da una conferenza stampa che illustra l'evoluzione della professione Sartoriale, partendo dalle Caterinette fino alla dressmaker. Saranno presenti: Attilio Tranquilli - Vice Presidente Vicario Unindustria Roma, Daniela Porro - Direttore Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed etnoantropologico per il Polo Museale della città di Roma, Nicola Zingaretti - Presidente Provincia di Roma, Lorenzo Tagliavanti - Direttore CNA Roma, Maurizio Tarquini - Direttore Generale Unindustria, Stefano Dominella - Vice Presidente con delega alla moda Sezione tessile abbigliamento moda e accessori Unindustria, Stefano Micelli - Professore di Economia e Gestione delle Imprese Università Cà Foscari, Bonizza Giordani Aragno - Storica della moda.
L'esposizione, a cura del Vice Presidente con delega alla moda Sezione tessile abbigliamento moda e accessori Unindustria Stefano Dominella e della storica della moda Bonizza Giordani Aragno, si articolerà non solo attraverso meravigliosi manufatti inediti e contemporanei ma, la rivisitazione del "bello e ben fatto" partirà dal costume popolare italiano che all'Expo internazionale a Roma nel 1911 decretò il successo del nostro Paese come leader del settore manifatturiero in Europa. Grazie alla lungimiranza della Sovrintendente Daniela Porro saranno in mostra anche preziosissimi costumi, patrimonio storico del Museo, accanto agli abiti degli stilisti più acclamati del nostro secolo. E ancora in esposizione tavole di ricami preziosissime dagli anni Trenta ad oggi e croqui di lavorazioni sartoriali eccelse. Completeranno l'esposizione fotografie di laboratori-couture e sartorie, tanti volti sconosciuti da ammirare e immagini di particolari di quelle lavorazioni che hanno fatto la storia della moda ma che ancora oggi vengono realizzate con indubbia maestria, anche grazie alle nuove tecnologie. Plissé, nervature millimetriche, asole di ogni tipo, tessuti dipinti a mano e molte altre tecniche sartoriali saranno protagoniste della mostra. In mostra le mirabilie sartoriali delle più importanti case di moda italiane e di giovani designer che con la loro creatività rappresentano il futuro del Made in Italy. Sono stati inoltre coinvolti gli studenti dei più importanti Istituti e Accademie di moda e design e storici atelier di calzature che ancora oggi realizzano un prodotto rigorosamente fatto a mano.
Un percorso espositivo didascalico e sorprendente, con abiti e materiali mai visti prima,un excursus creativo-artigianale, sia per il pubblico tecnico che per i comuni visitatori della mostra. Durante la vernice della mostra verranno premiate una sarta première per l'impegno profuso durante la sua lunga carriera e una giovane dressmaker con l'augurio di diventare un'affermata professionista del settore.

Si ringraziano: Armani, André Laug, Antonio Marras,Benedetta Bruzziches, Bertoletti, Blumarine, Camillo Bona, Carta e Costura, Dal Co', Delfrance Ribeiro, Emilio Schuberth, Enrico Coveri, Fondazione Annamode, Fondazione Gianfranco Ferré, Francesco Scognamiglio, Gabriele Colangelo, Galitzine, Gattinoni, Klopman, Lancetti, Laura Biagiotti, Leonardi, Maison Litrico, Marella Ferrera, Maurizio Galante, Max Mara, Mila Schön, Missoni, ModatecaDeanna, Mortari, Nicola Del Verme, Odile Orsi, Prada, Raffaella Curiel, Renato Balestra, Roberta di Camerino, Roberto Capucci, Roberto Cavalli, Roberto Spinelli, Romeo Gigli, Salvatore Ferragamo, Sante Bozzo, Santo Costanzo, Sarli, Scuderi, Sorelle Fontana, Spadafora, Sportmax, Sylvio Giardina, Stefano Merola, Teatro dell'Opera di Roma, Tiziano Guardini, Valentino,Versace, Walter Albini. Istituti e Accademie italiane di moda: Accademia di Costume e di Moda, Accademia di Belle Arti Frosinone, Accademia Koefia, Accademia Maria Maiani, Accademia Nazionale dei Sartori, Istituto Europeo di Design, Istituto Virginia Woolf, Scuola di Moda Ida Ferri

CREDITI
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari - Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia
Direttore ad interim: Daniela Porro
Allestimento: Oreste Albarano, Roberta Scoponi, Franco Gandin, Nicolò Giacalone
Comunicazione web e Archivio di Antropologia Visiva: Emilia De Simoni
Apparati audiovisivi e multimediali: Stefano Sestili, Simonetta Rosati
Ufficio del Direttore: Loredana Alibrandi
Segreteria di Direzione: Laura Ciliberti, Marina Innocenzi, Claudia Graziosi
Segreteria Comunicazione web: Francesca Montuori
Accoglienza e vigilanza: Antonio Fiorillo
Attività in conto terzi: Luigia Ricci Rozzi

Catalogo
Testi: Daniela Porro, Paolo Maria Guarrera
Fotografie: Massimo Berretta
Ricerche inventariali: Paolo Maria Guarrera, Roberta Scoponi, Anna Cologgi

Realizzazione e organizzazione
Mostra a cura di Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella
Ideazione Progetto a cura di Sezione Tessile Abbigliamento, Moda e Accessori di Unindustria
Organizzazione e Ufficio Stampa a cura di Unindustria
Realizzazione Progettuale a cura di Unione Servizi Roma
Redazione, coordinamento e ufficio stampa moda: Edoardo de' Giorgio, Gustavo Marco P. Cipolla, Giulia Cupello
Progetto di allestimento: REDSTUDIO
Coordinamento allestimento: Rossella Ronti, Joi De Santis
Studio grafico per l'allestimento: Maria Giudice
Immagini fotografiche delle aziende associate Unindustria: Paolo Belletti

Si ringraziano
Anna Biagiotti, Barbara e Marisa Curti, Paola Fidanza, Silvia Samaritani Giordani. Gabriella Lo Faro, Simona Marchini, Maria Stella Margozzi, Rita Samaritani Midulla, Deanna Ferretti Veroni

Catalogo
Concept a cura di Stefano Dominella
Immagini fotografiche a cura di Antonio Barrella
Studio grafico a cura di Simona Petrollini
Styling dello shooting fotografico ed elaborazione archivio di moda a cura di Simona Aragno, Lucia de Grimani, Isabella Faggiano
Realizzazione catalogo: Edizioni Sette Città Srl

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Occitani: convegno

La terza giornata del ciclo Gli Italiani dell’altrove, gli Occitani, è stata organizzata con la stretta collaborazione del prof. Piercarlo Grimaldi, Rettore dell’Università del Gusto di Pollenzo - Slow Food (UNISG) - anche nella sua particolare qualità di etnoantropologo esperto della tematica e del territorio, e dal prof. Davide Porporato dell'Università del Piemonte Orientale.

La giornata, dopo il saluto istituzionale (Anna Conticello Segreteria MiBACT, Maura Picciau, Direttore IDEA, Piercarlo Grimaldi, Rettore UNISG, Emilia De Simoni MAT, Fabienne Rondelli, Ambasciata di Francia in Italia) ha offerto un vivace racconto di “Antropologia visiva di carnevali e festività della montagna occitana” (proiezioni e commenti) nonché un momento di confronto sul tema della valorizzazione della lingua Occitana (lingua di un territorio, ma non lingua nazionale) con la testimonianza di Giacomo Lombardo, sindaco di Ostana (CN). 

Durante questo terzo incontro, si sono precisati i termini di coinvolgimento del pubblico nell’esperienza enogastronomica: si è deciso di dividere e amplificare il momento esplicativo dei sapori tipici attraverso un racconto verbale e per immagini, che ha anticipato, nella sala conferenze, il vero e proprio momento conviviale nella sala delle ceramiche, massimizzando in questo modo l’attenzione e comprensione da parte dei partecipanti.

Il pomeriggio ha avuto come protagonisti Diego Anghilante, curatore per Bompiani de L’Opera Poetica Occitana di Antonio Bodrero, massimo poeta dell’Occitania italiana, nonché l’intervento della prof.ssa Fausta Garavini, sul tema della poesia occitana d’oltralpe.

Lido Riba, Uncem Piemonete, Carlo Pisano, presidente del consiglio comunale di Guardia Piemontese (CS), Roberto Colombero, sindaco di Canosio (CN), hanno animato una tavola rotonda molto suggestiva (grazie a filmati audio/video e la partecipazione di una figurante in costume tradizionale) sulla realtà del territorio occitano. Il vero catalizzatore dell’attenzione del pubblico è stato però Sergio Berardo, polistrumentista e cantante del gruppo occitano dei Lou Dalfin: una performance a metà tra una vera e propria lezione di storia della musica e un concerto vivace, coinvolgente, attraverso brani ed esempi realizzati con la ghironda, le cornamuse, i flauti e gli organetti.

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Occitani: tradizioni

Nelle valli occitane italiane numerosi comuni organizzano una cerimonia al momento della posa della bandiera occitana sugli edifici pubblici.

Un testo che spiega i motivi della cerimonia viene letto in occitano e in italiano, poi la bandiera viene alzata al suono di “Se Chanto”, una canzone popolare delle valli occitane del Piemonte che è ormai considerata l’inno occitano e che, con il simbolo della croce occitana e il suono della lingua compone i tratti più caratterizzanti dell’area della lingua d’oc.
Un'identità “viva”, che ha trovato nella lingua ma anche nei simboli la propria nuova forza: quei simboli come la bandiera, l'inno “Se Chanto”, la ghironda, il magico strumento utilizzato dai bardi e dai trovatori nelle corti di tutt'Europa.

La bandiera

La bandiera occitanaLe comunità occitane sono rappresentate dalla cosiddetta croce «occitana», risalente al regno di Raimondo V, derivata dello stemma gentilizio dei conti di Tolosa «de geules à la croix vidée, cléchée» (o croce patente e pomata d’oro). Sono state fatte diverse interpretazioni di questa croce, di cui molte insistono sull’aspetto «simbolico» del motivo. Secondo R. Camboulives (1980) le dodici piccole sfere potrebbero rappresentare le dodici case dello zodiaco. La bandiera è utilizzata per rappresentare la lingua e la cultura occitana, o più generalmente come emblema regionale. La croce di Tolosa è a volte accompagnata da una stella a sette punte, che rappresenta le regioni storiche dell’Occitania secondo il Félibrige. Il motivo di questa croce è utilizzato da alcune comunità territoriali, dell’antica contea di Tolosa, e lo si ritrova anche sulla segnaletica stradale.

La ghironda

Lo strumento musicale della ghirondaLa ghironda è uno strumento musicale a corde di origine medievale. Oggi è possibile ascoltare la ghironda in alcuni festival europei di musica folk, suonata spesso insieme a cornamuse, in particolare in Francia e in Ungheria. Alla base del funzionamento dello strumento c'è una ruota di legno, coperta di pece e azionata da una manovella, che sfrega le varie corde: i cantini, i bordoni e la trompette. I cantini, solitamente due posti nella parte centrale dello strumento, sono controllati da una tastiera cromatica e realizzano la melodia. I bordoni, posti vicino al piano armonico, producono un suono continuo: di solito la tonica ma a volte si usa la dominante. La corda della trompette, poggiando su un ponticello mobile detto anche «chien» (cane), produce invece un caratteristico suono ronzante. Tramite la complessa tecnica dei colpi di manovella, che sollecitano la corda della trompette, è possibile realizzare delle formule di accompagnamento ritmico (colpi di due, di tre o di quattro, regolari o irregolari). Dal 1982 si tiene annualmente a Pragelato (TO) la Festa della Ghironda, una manifestazione interamente dedicata allo strumento.

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Occitani: comunità e lingua

I dialetti occitani parlati in Italia appartengono alla sottovarietà del provenzale alpino: un patrimonio linguistico ricco di influenze territoriali, ma riconducibile ad un'unica matrice originale, costituita da quella lingua romanza, la “Lingua d'Oc”, che durante l'epoca medioevale toccò l'apice della propria diffusione. Chiamato così per l'uso della particella “oc” al posto dell'”oui” francese per dire “” , l'occitano ricopre un ruolo centrale nella relazione tra tutte le parlate latine in Europa.
L’Occitano è conosciuto anche come Patois (patuà) che in Lingua Francese significa “dialetto, parlata dei contadini, gergo”. In realtà il termine “patois” indica una parlata dialettale diversa dal Francese e pertanto può indicare diverse varianti linguistiche francesi e galloromanze.
In Valle d’Aosta e in Piemonte con il termine Patois (patouà, patuà, patoué) si indicano le varianti locali dell’Occitano e della Lingua Francoprovenzale.
L’Occitano è riconosciuto e tutelato dalla Legge 482 della Repubblica Italiana.

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Occitani: storia

La civiltà occitana si sviluppò nel medioevo, con una raffinata cultura che condizionò tutta l'Europa, e interessò il campo della letteratura e della musica.
All'inizio del XII secolo apparvero le poesie dei trovatori, il primo dei quali fu Guglielmo VII conte di Poitiers, chiamato, poi, Guglielmo IX duca di Aquitania. È ben noto quanto la nascente cultura italiana del XIII secolo, con Dante e la Scuola del dolce stil novo sia in debito con i trovatori occitani, la loro lirica ed la loro poetica.
Nei primi anni del 1200 una parte degli Occitani divenne eretica, aderendo in particolare alle comunità dei Càtari e dei Valdesi. Nei loro confronti il Papa ordinò una crociata (la crociata degli Albigesi), che durò molti anni e nella quale furono compiuti grandi massacri. In quella circostanza fu introdotto il francese come lingua di occupazione. Questa guerra produsse il declino socio-economico della Linguadoca, che portò l'Occitania a divenire una sorta di colonia della Francia.
A partire dal 1242 i trovatori lasciarono le corti occitaniche e si rifugiarono oltre le Alpi ed i Pirenei. Si interruppe così, nel XIII secolo, l'uso letterario della lingua d'oc.
Nel 1539, con l'editto di Villers-Cotterêts, almeno a livello ufficiale, l'occitano fu relegato al ruolo di dialetto locale, perdendo la caratteristica di lingua di cultura universalmente riconosciuta.
Anche i Savoia perseguitarono i Valdesi e, nel 1561, firmarono la Pace di Cavour, primo esempio di riconoscimento di una professione di fede diversa dalla cattolica, limitatamente alla Val Pellice, alla Val Germanasca ed al versante destro della media e bassa Val Chisone, dette Valli Valdesi.
Le persecuzioni dei Valdesi ripresero nei secoli XVII e XVII, ma le discriminazioni nei loro confronti cessarono soltanto nel 1848, sotto il regno di Carlo Alberto.

Cartello bilingue a Guardia PiemonteseUna particolarità della minoranza linguistica è rappresentata dal comune di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza. In questo paese si raggrupparono i superstiti delle persecuzioni delle colonie valdesi di Bobbio Pellice (Torino). Lasciate le vallate piemontesi tra il 1300 ed il 1400, si insediarono in Calabria, dove vissero in pace per oltre tre secoli, dedicandosi all'agricoltura, alla pastorizia, curando la coltivazione di uliveti, di vigneti, del cotone, della canapa, di allevamenti di bachi da seta e ovini per la lana. Ma quando, nel XVI secolo, aderirono alla Riforma protestante, furono soggetti alle violente repressioni da parte dell’Inquisizione, tanto che la popolazione fu praticamente decimata. I pochi sopravvissuti furono sottoposti a pene severe e diverse imposizioni, fra cui il divieto di parlare il loro dialetto, la lingua occitana. Nonostante i forti condizionamenti subiti, oggi Guardia Piemontese (La Gàrdia), e in minor misura San Sisto dei Valdesi, fra tutti gli altri insediamenti di origine valdese, operano per mantenere viva la loro identità, che si traduce soprattutto nella sopravvivenza dell'antica lingua occitana, e per conservare luoghi e costumi simbolo della loro storia.

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Croati del Molise: convegno

Convegno Gli Italiani dell'altrove: i Croati del Molise

Il 28 maggio 2013, presso il MAT - Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari in p.zza G. Marconi 8 a Roma, si è tenuto il secondo incontro del ciclo Gli Italiani dell'Altrove: i Croati del Molise.
Il convegno è stato aperto con i saluti del Segretario Generale del Mibac, Antonia Pasqua Recchia che si è prodigata con particolare slancio per la riuscita del progetto, e di Damir Grubisa, l'ambasciatore croato in Italia e poi la direttrice dell'Idea Maura Picciau, il sovraintendente ai Beni Storici Artistici Etnoantropoligici del Molise Daniele Ferrara e il coordinatore scientifico del Mat Emilia De Simoni.
Nella prima parte della giornata i relatori hanno delineato le linee guida del progetto "Gli Italiani dell'altrove" e sottolineato l'importanza della minoranze linguistiche in Italia e nello specifico di quella croato-molisana. Successivamente il dibattito ha visto l'intervento di Snježana Hefti, editrice croata in Italia; Silvio Ferrari, scrittore e traduttore italo-croato; Emilia De Simoni, Giovanni Piccoli (studioso della minoranza linguistica Croato Molisana) e Vincenzo Lombardi (direttore della biblioteca provinciale "Albino" di Campobasso) con numerose testimonianze etnografiche, letture e proiezioni che hanno evidenziato la volontà dei Croati del Molise di mantenere viva la lingua e le tradizioni.
Per far conoscere anche la peculiarità enogastronomica della comunità croato-molisana, ai partecipanti è stato offerto un buffet con prodotti tipici dell'Azienda Agrituristica "Da Carlo" di San Felice del Molise.

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Croati del Molise: a tavola

Sono molte le pietanze di origine croata che ancora oggi si trovano sulle tavole dei molisani.
La zuppa d'agnello ai cevapcici, gli spiedini di carne alla griglia e la peca, piatto unico di mare o di terra che utilizza una tipica pentola di coccio o di ghisa a forma di una campana, per cucinare polipi, calamari e patate oppure carne d'agnello, cipolle, peperoni, conditi con vino e spezie.

E poi i tradizionali Perstasci, lasagne triangolari, fatte con farina di grano duro e le Kabasice, ovvero salsicce nostrane e salumi come ventricina e prsut.

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Croati del Molise: tradizioni

La manifestazione più popolare è la festa del Maja, a maggio, e consiste in un rito di auspicio per un prosperoso raccolto dei frutti della terra.
"u' maio" è l'uomo che indossa un grosso telaio conico con due braccia e una testa, addobbato con fronde, erbe, fiori e primizie, e gira per il paese, accompagnato dal suono dell'organetto e da cantori e un coro, seguito da una folla di gente.
Il corteo del Mája viene di tanto in tanto fermato da alcune famiglie che, in segno di gratitudine e per la propiziazione delle messi, offrono vino, pizze, salumi e formaggi.

Sopravvivono ancora, oltre al rito nuziale ed a quello funebre, anche i canti popolari di origine croata. Altro retaggio di un'antica istituzione slava, quella della "Zadruga" (la grande famiglia, patriarcale contrassegnata dalla proprietà comune) può essere ravvisato nella appartenenza di una intera contrada a una sola famiglia.

Costumi
L'abito femminile tradizionale di origine slava di Acquaviva Collecroce comprende la camicia bianca guarnita da colletto di pizzo, gonna di lana nera o verde scuro, liscia sul davanti, corpetto nero o ben chiuso davanti con stringhe incrociate, con maniche lunghe usate solo d'inverno, grembiule corto ornato con ricami, fazzoletto da testa orlato di pizzo, di lana grezza rettangolare, calze scure.
L'abito maschile è costituito dalla camicia bianca di tela pesante, lavorata a fitte piegoline sul petto, calzoni invernali di lana nera o blu, sotto il ginocchio con bottoni e sostenuti alla vita da una cintura rossa o viola. I calzoni estivi sono di canapa e la camiciola dello stesso tessuto dei pantaloni, a doppio petto, è usata solo nei giorni festivi. Le calze sono bianche con legacci multicolori, le uose di panno scuro chiuse da bottoni, cappello di feltro e mantello a ruota di lana scura.

Artigianato
Nei paesi di Montemitro, San Felice del Molise ed Acquaviva Collecroce si conserva, ancora oggi, la consuetudine della tessitura a mano, su telai di legno, per realizzare coperte, stuoie, panno grezzo e finissimi tovagliati che ripropongono l'originaria tradizione croata, affidata alla tipicità dei disegni e alla vivacità dei colori tramandati di generazione in generazione.

 

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Croati del Molise: comunità e lingua

L'idioma parlato dalla minoranza è sostanzialmente l'antica lingua croata del tipo štòkavo-ìkavo, in uso nella Dalmazia centrale, nel retroterra croato e in Erzegovina. Secondo alcuni studiosi, si tratta di un idioma conservato da circa 400 anni, con una fisionomia eminentemente pratica, appunto perché parlato in prevalenza da contadini.

L'antica lingua croata è, oggi, usata soprattutto nei rapporti familiari e nelle relazioni interpersonali. Essa è stata trasmessa per cinque secoli con la sola tradizione orale e non esistono infatti tracce di scritti, se si escludono alcune poesie.

La lingua croata in Italia è tutelata dalla legge n. 482 in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
In Molise conservano l'uso della lingua croata circa 1000 abitanti, in 3 comuni:

Localizzazione delle località di lingua croata in MoliseCAMPOBASSO
1 Acquaviva Collecroce Kruč o Živavoda Kruč
2 Montemitro Mundimitare
3 San Felice del Molise Štifilić o Filič

 

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
Amministrazione
trasparente

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