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#LACULTURANONSIFERMA. "Babylon Caffè - Amiata, Kurdistan" di Riccardo Putti con la comunità curda del Monte Amiata

#LACULTURANONSIFERMA. "Babylon Caffè - Amiata, Kurdistan" di Riccardo Putti con la comunità curda del Monte Amiata

Oggi, per la rubrica "Italia dalle molte culture", incontriamo Riccardo Putti, professore di Antropologia visiva dell'Università degli Studi di Siena, che tra il 2013 e il 2015 ha realizzato una ricerca sulla comunità curda del Monte Amiata, nell'ambito del progetto PRIN - Migrare. Migrazioni, legami familiari, appartenenze politiche.

Uno degli esiti della ricerca è stato il  docufilm "Babylon Caffè - Amiata, Kurdistan", realizzato da Riccardo Putti con un gruppo di lavoro internazionale che si sviluppa sul Monte Amiata, nella zona appenninica della provincia Grossetana.

Il docufilm sarà visibile per tutta la settimana al link: https://vimeo.com/230894242

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Riccardo, da dove parte l'idea della ricerca?

Questa ricerca nasce nel contesto di un progetto PRIN di cui Cristina Papa era coordinatrice Nazionale; il progetto era dedicato a studiare le relazioni tra comunità migranti e religione. Per un periodo avevo lavorato nella Moschea di Colle Val d’Elsa con il suo Imam Abdel Qader. Tuttavia più mi addentravo in questa dimensione e più mi sembrava che le pratiche religiose in realtà fossero intimamente legate ad un sistema politico e quindi avrei voluto verificare più approfonditamente il nesso che legava la forma di comunità con l’aspetto religioso. Ciò in altri termini voleva dire verificare se vi fossero comunità migranti che non basavano la loro coesione sul fattore religioso. Sempre in quel periodo avevo contatti con il mondo curdo e in particolare mi interessava l’esperienza del Rojava di cui si iniziava a parlare molto diffusamente anche in Italia. In questo contesto ho dunque conosciuto l’esistenza di un gruppo consistetene di famiglie curde che vivevano nella zona del Monte Amiata. Il gruppo era consistente perché formato da più di duecento individui e composto da intere famiglie e non solo da uomini. Si palesò dunque l’occasione di verificare se e come una cospicua massa di persone avesse al suo interno legami diversi da quelli religiosi come forma di collante strategico con cui sia mantenere una forma di unità interna sia entrare in relazione con il territorio sociale in cui vivono lavorano.

Puoi inquadrarci la situazione curda e la condizioni di migrazione.

La questione curda in Italia ha radici profonde e complesse. Per estrema sintesi ricordo come l’affaire Ocalan scosse la politica Italiana tra la fine del 1998 e i primi mesi del 1999 e che se pur in maniera molto contraddittoria con i fatti a Ocalan venne concesso asilo politico. Ancor prima però si era già concretizzata la vicenda di Badolato e della nave Ararat, siamo nel 1997 e il piccolo borgo di Badolato in Calabria accoglie i curdi giunti con la nave Ararat incagliatasi sulla costa prospiciente, si trattava di circa 800 persone. Se analizziamo questi fatti possiamo comprendere vari elementi in primo la provenienza dall’area turca della migrazione curda verso l'Italia, l’esistenza di una organizzazione politica, difficile condurre una nave verso l’Italia dalla Turchia senza una organizzazione, inoltre anche dall’analisi delle presenze ad esempio sulla nave Ararat prevalentemente di uomini ma anche di famiglie che questa forma di migrazioni ha un carattere sociale strutturato e che rappresenta un progetto collettivo. Il Centro Ararat di Roma nasce nel maggio del 1999 e coagula intorno a se varie esperienze di rapporti tra il mondo curdo (sopratutto turco) e gli attivismo sociale italiano, in questo va ricordata la figura di Dino Frisullo, che già nel 97 aveva preso parte al “Treno della pace”. Sempre nel 1999 nasce anche l’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI-Onlus) come in altre parte di Europa. Quest’ultimo ha una valenza molto più politica rispetto al Centro Ararat che invece ha un profilo culturale e di mutualismo.

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Il tuo lavoro mette in evidenza uno spazio pubblico locale dinamicamente utilizzato dalle famiglie curde che hai incontrato, come si inserisce la presenza di una piccola ma importante comunità curda nel territorio?

In effetti quando iniziai a girare il Babylon non esisteva e Metin era un operaio agricolo e Sevda seguiva la casa e i due figli piccoli. Tuttavia per comprendere la vicenda del Bablylon Cafè e di come si inserisce nella dinamica sociale della comunità curda del monte Amiata bisogna risalire appunto ai periodi precedenti. La comunità curda si era organizzata in una associazione e aveva dato vita ad una sorta di circolo di ritrovo ad Arcidosso. Il locale era situato in una zona periferica del paese in prossimità di un grande giardino pubblico e in una zona dove risiedevano alcune famiglie curde. Quando iniziai a far ricerca il circolo/bar era stato chiuso da poco per difficoltà economiche nel gestirlo. In sostanza era un ritrovo solamente frequentato da curdi e questo in parte costituiva almeno secondo l’opinione di alcuni una delle difficoltà. Tuttavia l’area del giardino pubblico che era prospiciente al locale era ancora area di ritrovo soprattutto delle donne curde con i figli piccoli; a volte ho sostato in quella zona per alcune conversazioni e capitava anche che arrivasse un vassoio di bicchieri e una cuccuma di té portato da case vicine. In quella fase Metin era comunque un punto di riferimento della comunità in quanto svolgeva anche attività di traduttore ufficiale. Inoltre sebbene prevalentemente dediti ai lavori agricoli vi erano anche alcune esperienze di commercio e di negozi gestiti da curdi ma che avevano una clientela più ampia. Ad esempio nel centro di Castel del Piano era attivo un negozio di frutta e verdura a cui si rifornivano anche italiani. In questo contesto e anche molto legato alla personalità di Metin nacque il Babylon la cui storia è presentata nel docufilm. Insomma mi sembrava una buona occasione per dare una scenografia alla narrazione. 

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Il titolo del docufilm è dedicato al locale Babylon Café aperto a Castel del Piano, che avete seguito nel lavoro sin dalla sua apertura. Che ruolo ha avuto questo nella costruzione di reti sociali all'interno delle famiglie curde e tra questa e la più ampia cittadinanza del territorio? Che ruolo ha questo luogo per la ricerca che avete svolto e per la narrazione che avete scelto di sviluppare nel docufilm?

La narrazione filmica ha delle sue caratteristiche particolari soprattutto quando si tratta di lavorare su una comunità, un gruppo sociale. E’ difficile infatti creare una narrazione sociale soprattutto lavorando con le modalità dell’antropologia visiva e non della fiction. Quando si tratta di mettere in scena una comunità nel suo complesso occorre infatti partire da elementi fondamentalmente già presenti nell’accadere sociale. Lo si può fare ad esempio usando una festa o un rito più complesso questo permette di mettere in scena una comunità nel suo complesso, ma questo lega all’accadimento specifico tutta la narrazione limitandola in un certo senso. Una formula possibile è scegliere alcuni elementi/persone paradigmatiche le cui vicende possono essere esemplificative di una più generale esperienza di vita. Tuttavia in questo caso si perde la coralità. Il caso del Babylon a me è apparso come una sorta di risoluzione a queste problematiche. Da un lato la storia di Sevda e Metin e del loro impegno per far nascere il Babylon Caffè tracciava la storia di una coppia giovane di curdi delle loro speranze e al tempo stesso della loro volontà di aprirsi alle interazioni sociali con il tessuto in cui erano inseriti. Dall’altro lato il luogo Babylon creava una scenografia naturale in cui poter mettere in scena altre narrazioni di singoli, che con le loro storie di vita rendevano conto di una più ampia realtà sociale rispetto alla sola esperienza della coppia Sevda Metin, e mostrava il locale nella sua caratteristica di sistema di connessione. Insomma offriva un centro alla narrazione e al contempo il luogo di propagazione da cui partire anche visivamente per entrare nelle varie e articolate esperienze di vita che compongono la dimensione della comunità curda del Monte Amiata.

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All'interno del progetto IMC Italia dalle Molte Culture dell'ICPi sarà avviata una nuova ricerca etnografica, condotta insieme alla comunità curda del Monte Amiata grazie anche alla collaborazione delle associazioni UIKI e ARARAT. La ricerca sarà centrata sullo studio del sistema di trasmissione dell'“eredità culturale” e le sue forme di osmosi con l'ambiente culturale di inserimento, sul rapporto con le istituzioni e con la popolazione locale sia nel quadro delle attività lavorative che nel quadro di quelle ricreative. In particolare un focus del lavoro di ricerca sarà rivolto alle giovani generazioni, il rapporto con la scuola con i coetanei e le problematiche di genere, rintracciando attraverso le immagini i segni della presenza dei componenti della comunità rispetto allo spazio pubblico e privato.

 

Intervista realizzata da Rosa Anna Di Lella e Cinzia Marchesini. Si ringrazia il prof. Riccardo Putti per la disponiblità e collaborazione. 

 

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